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Marco Ehlardo, autore di “Terzo settore in fondo. Cronaca semiseria di un operatore sociale precario“, ci dice qualcosa in più del libro (disponibile nelle librerie d’Italia dal 29 ottobre) e di sé. Incominciando davvero dall’inizio: il suo nome.
«Ho passato la mia vita a rispondere a chi mi chiedeva del mio strano cognome. Provenienza non certa, probabilmente austriaco. Quando entravano in confidenza con me, passavo a quello di mia madre: Puhali. Questo invece croato, da parte di nonna materna. Rifugiata anche lei. Di cos’altro mi sarei potuto occupare? Tutti mi vedevano già ingegnere. All’inizio anch’io, ma col tempo quell’immagine è diventata sempre più sbiadita e distorta. Ci sono quasi arrivato, mancavano quattro esami. Proprio il momento giusto per iniziare a interessarmi di sociale. Con tanti saluti al Politecnico. Esclusione sociale, poi immigrazione, infine rifugiati. Aiutare altri a trovare quella conclusione di un percorso che io avevo lasciato sempre sospeso. Quanti ne avrò incontrati? A volte me lo chiedo e provo a fare dei calcoli. Un migliaio in media all’anno, che per circa dieci anni fanno quasi diecimila. Tanti. Non posso ricordarli certo tutti. Ricordo però tanti episodi, alcuni tristi, alcuni gioiosi. Comunque più emozionanti dei transistor. Nel bene e nel male, il rapporto con richiedenti asilo e rifugiati è sempre stato onesto. Molto meno, purtroppo, con buona parte di quello che doveva essere il “mio” ambiente, con quelle che dovevano essere le “mie” istituzioni, con quelli che dovevano essere coloro con cui condividere ideali e impegni. E allora anche quel percorso non l’ho completato. E ne ho iniziato un altro, diverso ma non troppo, e altrettanto coinvolgente. E molto impegnativo».