Carrello
Iscriviti alla newsletter
Il 27 ottobre 2024, nell’ambito della rassegna organizzata dal Comune di Macerata Campania “A [...]
Fernando Bermúdez alle 17:30 sarà intervistato nel corso della trasmissione Fahrenheit, programma dedicat [...]
Fernando Bermúdez incontra per la prima volta i lettori italiani del suo primo, attesissimo romanzo ̶ [...]
“Inganni e potere. Il gaslighting” a Un borgo di libri, il festival letterario del borgo medievale di Cas [...]
Libro della Settimana
Ognuno di noi ha un proprio orizzonte, fisico o interiore, che definisce la sua esistenza: “La siepe che [...]
di Rossella Tempesta
Ognuno di noi ha un proprio orizzonte, fisico o interiore, che definisce la sua esistenza: “La siepe che [...]
di Piero Malagoli
Ognuno di noi ha un proprio orizzonte, fisico o interiore, che definisce la sua esistenza: “La siepe che [...]
di Flaminia Festuccia
Ottobre è il mese in cui le ombre si allungano e il confine tra reale e immaginario diventa sottile. Con [...]
di Marco Castagna
Ottobre è il mese in cui le ombre si allungano e il confine tra reale e immaginario diventa sottile. Con [...]
di Piero Malagoli
Ottobre è il mese in cui le ombre si allungano e il confine tra reale e immaginario diventa sottile. Con [...]
di Flaminia Festuccia
Classifica Libri
-7 al Salone del libro di Torino. Quest’anno il tema è “Vita Immaginaria”. Il nostro countdown inizia con il nuovo racconto di Piero Malagoli: riuscirà il protagonista, un esordiente, a incontrare l’editore che gli cambierà la vita? Immagini l’epilogo? Noi intanto TI IMMAGINIAMO GIÀ QUI: Edizioni Spartaco – Stand Q59 – Padiglione 3 – Lingotto Fiere – 9/13 maggio.
Piero Malagoli, autore di “Nel rimorso che proveremo“
Un “grande” scrittore
Sulla poltrona del Freccia Rossa, direzione Milano, stringo il manoscritto come l’ultima cosa rimastami al mondo. Il mio agente ha organizzato l’incontro con un editore importante, di quelli che cambiano le carte che la vita ti ha messo in mano.
È la terza volta che questo appuntamento viene fissato. I precedenti sono miseramente falliti.
Il primo mandato a monte da Fabio, il suddetto agente letterario, oppostosi alle modifiche da me apportate al testo alla vigilia; il secondo è saltato per colpa del sottoscritto.
La notte precedente, in preda a un’ansia senza nome, assunsi un sonnifero che mi precipitò in un sonno profondo privo di sogni. Mi destò il trillo del cellulare. Era Fabio, che chiedeva dove diavolo fossi a soli dieci minuti dall’orario fissato.
Con voce impastata, a trecento chilometri da dove avrei dovuto trovarmi, mi misi a frignare, pregandolo di rinviare l’appuntamento.
Mi ero giocato l’occasione. Questa gente non concede replica, ma il mio agente riuscì a convincerli che ne valesse la pena. La fiducia che nutre nelle mie capacità è incrollabile, ma minimizza, attaccandosi ai soldi che potrò restituirgli solo dopo la firma di un contratto.
Così… eccomi qua. Stavolta è quella buona.
Ho un abbigliamento casual e mi annuso preoccupato che l’odore di treno impregni gli abiti. Un mefitico mix di catrame, gomma bruciata e sudore stantio.
Ieri sera avevo puntato due sveglie prima di abbandonarmi al riflusso soporifero degli ansiolitici. Stamani, per apparire tonico e reattivo, ho corretto il tiro con un triplo caffè, seguito da una doppia dose di ginseng. Ora alterno momenti apatici a quarti d’ora frenetici, in cui non riesco a frenare la gamba destra, che saltella urtando lo schienale davanti.
Mentre salivo sul treno, il mio agente ha chiamato, per sincerarsi che tutto filasse liscio.
L’ho rassicurato e salutato in fretta, eludendo domande sul testo che ho nuovamente rivisto disattendendo le raccomandazioni, e le paternali su come questa sia l’ultima spiaggia… l’estrema possibilità di prendere all’amo la balena… e di come si è esposto per me e della fortuna che mi è toccata e bla, bla, bla….
Fabio è intraprendente e pieno di agganci, ma ha gusti letterari antiquati.
Al nostro primo incontro ho subito chiarito di essere uno scrittore poco incline a qualsiasi compromesso. Ero indispettito dai segni rossi che deturpavano le pagine del manoscritto. Specialmente dal taglio della migliore scena di sesso, in cui due universitarie (Whendy e Pinky… già dai nomi si coglieva l’ironia) si sollazzano col professore di filosofia in pensione sul letto che condivideva con la defunta moglie.
Così ho sostituito questa scenetta frizzante con un noioso amplesso tra mentore e allieva con strascichi morali annessi.
Ma tant’è… anche un grande scrittore deve cedere a compromessi.
Suona il cellulare. È di nuovo lui che mi sorprende in un momento di profonda apatia e rifiuto la chiamata.
Il vicino di posto, un azzimato signore di mezza età, mi guarda torvo e torna al quotidiano.
Studio il frontespizio della mia opera. Il titolo e il mio nome a caratteri Times New Roman. Sobrio ed elegante.
Sono possessivo fino alla paranoia riguardo ai miei manoscritti. Ogni volta che ne invio uno a un editore, quando il plico passa dalle mie mani a quelle dell’impiegato postale, avverto un senso di vuoto, come un figlio che vedo allontanarsi verso l’ignoto e trattengo l’irrazionale impulso di sussurrare “telefona quando arrivi”.
Ecco che chiama di nuovo. Il cellulare trilla nella tasca e mi contorco per estrarlo, importunando il vicino col gomito.
Rispondo assecondando una frenesia che mi costringe ad alzarmi chiedendo venia e guadagnare il corridoio, mentre porto il cellulare all’orecchio.
«Eccomi!» esclamo, troppo sciolto per risultare rassicurante.
«Dov’eri?» domanda preoccupato.
«Tutto a posto» glisso, cercando di tranquillizzarlo «Alle dieci in punto sarò lì».
«Non usare i mezzi. In stazione prendi un taxi. Non possiamo toppare stavolta».
«Certo» lo rassicuro «Farò così, nulla può andare storto».
«Hai il manoscritto?».
«Sicuro, per chi mi prendi?» borbotto offeso.
Vorrei interrompere, ma Fabio vuole rivedere i particolari. Passeggio lungo la corsia centrale.
«Non hai apportato modifiche, eh?» domanda speranzoso.
Il primo impulso è quello di mentire, ma minimizzare mi pare più onesto.
«Uh, poca roba… sciocchezze» azzardo a mezza voce.
«Oh, Signore!» sbotta «Quante volte ti devo dire…».
«Oh, oh… calmati» lo interrompo «Puoi stare tranquillo. Sono un professionista e ho fatto come volevi, finora».
L’immagino contare fino a dieci. Decido di tornare a sedere obbligando il signore azzimato ad alzarsi di nuovo per lasciarmi passare.
«Non hai inserito altre scene di sesso, oltre quella concordata?» domanda, paventando la risposta.
«Ma no, che ti viene in mente?».
«Ti prego, non screditarmi con questa gente. Io ci lavoro, non farmi pentire di essermi sbilanciato in nome della nostra amicizia».
«Tranquillo» Cerco di lasciar cadere il discorso, mentre un ragazzino si gira a guardarmi. Gli strizzo l’occhio, sornione.
«Non hai modificato il finale, vero?».
«Nooo…» rispondo annoiato.
«E il personaggio del medico… per il quale dovevi progettare una degna uscita di scena?».
«Frank?» domando per procrastinare l’inevitabile confessione.
«Si, Frank».
«Uh, si, beh…» sospiro «Frank… l’ho ammazzato».
«Ammazz… oh, Gesù!» sbotta tra scariche elettrostatiche. «Avevi promesso di trovare una diversa soluzione!».
«Beh, no, non l’ho trovata… e l’ho ammazzato!» starnazzo in un moto d’irrefrenabile indignazione «Non è che puoi dirmi cosa posso o non posso fare! Sono io l’autore».
Faccio per rialzarmi in piedi, poi ci ripenso e siedo di nuovo.
«Ok…» cerca di razionalizzare «Hai almeno trovato una fine incruenta?».
Ammansito dalla concessione mi sbottono.
«Uh, decapitato di netto… non è incruenta, ma quasi indolore».
«Oh mer…!» di nuovo percepisco risentimento e mi agito. «Allora non ci siamo capiti. Non puoi decapitare la gente con la mannaia in un romanzo di narrativa! Non puoi cavare gli occhi dalle orbite e pensare che il pubblico apprezzi queste stronzate. Perché devi essere così dannatamente pulp?».
«Una sega a nastro» lo interrompo, mantenendo il tono colloquiale.
«Eh?».
«Ho usato una sega a nastro, non la mannaia. Ed è un occhio, uno solo… quello destro».
«Sei un coglione!» sbotta di nuovo, ferendo il mio amor proprio.
«Ma gli ho lasciato le dita! Tutte le dita! E ho rinunciato alla sparachiodi! Ho fatto come mi hai detto».
Se mi obbligheranno a ulteriori tagli pubblicherò questo dannato libro sotto pseudonimo. Ho un nome da difendere.
Fabio tace in preda allo sconforto e ciò m’induce a rincarare la dose.
«Ho dovuto farlo, stava diventando scialbo e scontato» mi alzo di nuovo. Il vicino, spazientito, cambia posto, permettendomi di raggiungere il corridoio. Accenno un sorriso tirato.
«Capisco la tua posizione, ma non rinuncio al mio stile. Non posso snaturare il mio lavoro».
Diamine, sono pur sempre un grande scrittore che deve seguire le sue intuizioni.
«Il tuo lavoro per ora non esiste» spiega paziente «Esisterà solo se riusciremo a convincere questi tizi a farti un contratto e pubblicarlo. Ma tu non vuoi ascoltarmi…».
«No, no…» balbetto, alzando il tono di voce.
«No, no…» ribatte lui per zittirmi.
Continuiamo per un po’, poi Fabio cede al mio sfogo.
«Io seguo i tuoi consigli, ma devi batterti per le mie idee, sei il mio agente, ti pago per questo!».
«No, scusa… finora non ho visto un soldo. E se non andrà in porto questa cosa, da te potrei non vederne mai».
«Allora sai che ti dico?» sussurro, appoggiato al finestrino col braccio teso «Dissociati! Frank l’ho ammazzato io… dillo a quella gente. Tu non eri d’accordo, ma io l’ho ammazzato lo stesso. Così se non andrà per il verso giusto, salverai la faccia» ho progressivamente alzato la voce e mi sto sedendo di nuovo, sfinito dalla tensione.
«Non è così che funziona» si arrende Fabio, ormai sfiduciato «Tu pensa ad arrivare in orario, io farò il possibile per sostenerti».
«Sto entrando in stazione» mento «Tra poco m’infilo in un taxi e ti raggiungo. Vedrai che andrà bene, me lo sento!».
«Certo» risponde senza entusiasmo «Vedi di non tardare, ti scongiuro».
«Tranquillo».
I palazzi sfilano lentamente dal finestrino mentre il treno rallenta.
A Milano Centrale guadagno l’uscita tra passeggeri che mi cedono il passo, intuendo la mia premura. Sbircio l’orologio, il manoscritto sotto il braccio. In orario perfetto.
Scendo e m’incammino sulla banchina del binario 12, verso lo scalone.
Noto tre persone in divisa che scannerizzano i viaggiatori in arrivo, due sono della polizia ferroviaria, il terzo indossa un’uniforme azzurra che non riconosco.
Sale l’inquietudine come quando al volante mi trovo la Stradale accodata al paraurti. L’ansia si placa quando i loro occhi mi scivolano addosso passando oltre. Uno dei tre scambia un cenno con qualcuno alle mie spalle, si avvicina e guarda di nuovo, chiedendo conferma.
Mi giro e vedo il capotreno sporgersi e annuire verso i militari.
«Scusi, signore» chiama quello con la divisa azzurra. Abbasso lo sguardo e registro i pantaloni a banda rossa, la fondina e una trasmittente alla cintura.
«Scusi, signore… da questa parte, prego» mi sollecita a uscire dal flusso della folla e raggiungerlo sul lato della banchina. Allibito mi volto e scorgo uno degli agenti parlottare col capotreno e altri viaggiatori, tra i quali l’elegante signore che mi sedeva a fianco. Parlano fitto, lanciandomi occhiate torve. Indicandomi uno fa un segno inequivocabile, passandosi due dita sulla giugulare.
Gli altri due agenti mi hanno raggiunto e cercano di convincermi a seguirli non capisco dove. Il terzo lascia il gruppetto di viaggiatori, annuendo verso i colleghi, accelerando il passo.
Indietreggio nel panico, intuendo l’orrendo equivoco di cui sono vittima.
Prendo tempo con una frase banale, indegna di uno scrittore del mio calibro:
«C’è un errore… Io ho un impegno importante… molto importante» guardo disperatamente attorno, ma mi hanno circondato e cercano di calmarmi per far defluire la folla.
Il pensiero corre al cellulare e mentre proteggo il manoscritto infilo la mano nella tasca del soprabito.
«Le mani in vista, signore!» tuona uno dei tre, estraendo la pistola e provocando un fuggi fuggi generale che mi paralizza il tempo necessario perché gli altri mi siano addosso e mi scaraventino a terra.
Il cellulare si fracassa sotto l’anfibio del poliziotto che mi preme un ginocchio sulla schiena e il viso sul selciato. I vestiti s’impregneranno irrimediabilmente dell’odore di treno.
«Non ho fatto nulla! Sono uno scrittore!» cerco di alzare la testa per gridare le mie ragioni. Lancio strali verso il gruppo di passeggeri indignati.
«Devo fare una telefonata» imploro.
«Si calmi signore» è la risposta che ottengo e quando provo a dimenarmi scattano le manette, che m’inchiodano ancor più a terra. Tutto ciò che scorgo dalla scomoda posizione è la batteria del cellulare, cicche di sigarette e le pagine del manoscritto che svolazzano sui binari, alcune a terra come foglie morte, altre volteggianti nell’aria, risucchiate nel vortice del rapido per Napoli in partenza dal binario 11.
Impreco e sbraito imbestialito mentre mi svuotano le tasche, frugano nel portafogli e controllano i dati via radio. Due mani mi afferrano per il bavero, rizzandomi in piedi, dove cerco di tirare calci e avvinghiarmi alla colonna di marmo per non farmi trascinare via.
Ci si devono mettere tutti e tre per immobilizzarmi le gambe, mentre ancora strepito come un ossesso:«Lasciatemi, vi dico, sono uno scrittore! Un fottuto, stramaledetto grande scrittore!».
Etichette: 9-13 maggio 2024, edizioni spartaco, Lingotto Fiere, Nel rimorso che proveremo, Piero Malagoli, Salone del libro di Torino 2024, Stand Q59, Vita Immaginaria