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Dopo il meraviglioso tour campano organizzato dalla Spartaco per presentare L’era di Cupidix, sono tornato al Nord in debito d’ossigeno. Perché, in fondo, raccontare in musica il proprio romanzo a ragazze, ragazzi, studenti più o meno giovani, è un vero privilegio, a patto però di non confondere troppo realtà e fantasia, cosa che, ahimè, mi accade ogni tanto. Così uno si illude che esistano veramente pillole come Cupidix per restare sempre innamorati, o pillole come Disamor che ci facciano dimenticare le sofferenze di cuore, oppure ancora farmaci come Fidelix che ci garantiscano quella stabilità che spesso mettiamo in discussione tranne poi rimpiangerla quando l’abbiamo persa.
È qualcosa di simile a quanto accade dopo la lettura di un romanzo avvincente. Il ritorno alla quotidianità ci restituisce colori che ci sembrano spenti, quando arrivano, e i toni di grigio non sono sfumature dal richiamo erotico furbescamente commerciale. No, appaiono proprio come toni uniformi, netti, senza alcuna variante.
Semplici illusioni ottiche, amiche e amici. Credo che la bellezza dello scrivere e dell’immaginare stia tutta qui, nell’inversione del punto di vista. Scrivere non tanto per dare colore artificiale a una realtà piatta, quanto per raccontare i colori che si annidano nelle giornate che, per pigrizia, abitudine o rassegnazione, ci ostiniamo a vivere come grigie.
Stanare l’arcobaleno di storie irripetibili, e se del caso giocare con l’ironia. In attesa di un nuovo romanzo voglio condividere con voi alcune Microstorie d’amore e di crisi che mi sembrano una naturale prosecuzione dello spirito di Cupidix. Una microstoria al giorno. Per ogni microstoria, un titolo. Si alzi il sipario.
L’ultima cena
Era stanco, deciso a chiudere la questione a tavola:
«Voglio chiudere con il passato» disse alla moglie.
«Va bene, da domani riso in bianco» rispose al marito.