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di Marco Ehlardo
Non sono un nativo digitale, ma nemmeno così vecchio da trovare la tecnologia indigesta.
In questo periodo, gioco forza, l’unico modo per fare riunioni ed “incontri” sono le varie piattaforme tipo Skype, Zoom, Whatsup.
Il che sta creando una nuova divisione classista del nostro mondo, che ormai si divide in tre classi:
Io ed Anna facciamo parte della seconda classe, ma solo perché, grazie ad alcune lezioni che ho tenuto all’Università, per un progetto fatto dalla mia associazione con l’Ateneo, ci siamo potuti permettere un contratto a consumo, che durerà fin quando si esaurirà quel piccolo guadagno: ossia molto presto.
Le riunioni su Skype, dalle mie parti, seguono le stesse regole delle riunioni fisiche. Se la riunione è fissata alle 10, i primi partecipanti iniziano a presentarsi alle 10,30. C’è sempre quello, poi, che per motivi imperscrutabili si presenta esattamente alle 11. Dunque, come per gli incontri fisici, fissare una riunione all’orario x significa, pacificamente, iniziarla all’orario x+1.
E, come per le riunioni fisiche, io alle 9,30 sono già davanti al computer. Malattia inguaribile.
Ma questa è la parte più facile. Il peggio viene dopo.
Anzi, non è vero: a volte viene addirittura prima.
Una persona mi propone una riunione, e mi chiede il mio nome Skype. All’ora x di presunto inizio, tutto tace. Aspetto una decina di minuti e gli scrivo un messaggio al telefono. Silenzio. Passa almeno mezzora e si palesa al telefono, con una delle due più ricorrenti risposte:
Se invece sei tu a chiedergli il nome Skype, la cosa può farsi più scabrosa.
…
…
…
…
…
Mi segno finalmente il suo nome Skype. Per la prossima volta. Cicciobello84. Ottimo.
Le riunioni più complicate sono quelle tra appartenenti alla piccola borghesia digitale. Tolti i (non pochi) figli di papà, la buona parte di noi.
Ordine del giorno della riunione: reperimento e distribuzione di mascherine e guanti per operatori ed ospiti di varie strutture di accoglienza.
Parte la chiamata. L’ordine del giorno viene totalmente modificato con i seguenti argomenti:
Quando poi, miracolosamente, la linea regge, potrebbe andare tutto bene, se in queste riunioni non ci fosse, immancabilmente, il partecipante più pericoloso: il malatodiprotagonismo delle Skype call.
Mi mancano le riunioni fisiche. Quelle in cui, ad un certo punto, un fermacarte lo puoi far volare “fisicamente” verso qualcuno.
Marco Ehlardo (1969) è nato a Napoli, città dove vive e lavora. Impegnato da oltre quindici anni nel settore sociale, è stato project manager di un programma di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati e di numerosi altri progetti e servizi per migranti. Esperto di migrazioni e asilo, è autore per le testate Vita No Profit e Comunicare il Sociale. Svolge incontri e seminari sul tema per associazioni, giornalisti e scuole. Per Edizioni Spartaco ha pubblicato “Terzo settore in fondo. Le avventure semiserie di un operatore sociale precario” (2014) e “Fratello John, sorella Mary. Le nuove avventure semiserie dell’operatore sociale precario Mauro Eliah” (2016).