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  • «È morto; lo tengono lì e non vogliono dire niente ma è morto» disse allora mio padre e forse doveva sentire già vicina la sua fine anonima, quella che sarebbe stata pubblicata due giorni dopo in un piccolo necrologio del quotidiano La Nación. Che Perón fosse morto e che un gruppo di congiurati vegliasse in segreto il suo corpo, tramando chissà quale ragnatela di finzioni al solo scopo

    di ingannare il popolo e vincere la storia, furono le ultime frasi che sentii dire a mio padre. Le trascendentali ultime parole di un lascito, dedicate non a me ma a un morto estraneo. Avrebbe potuto accennarmi le prime cose del sesso, in fin dei conti io avevo già undici anni e non ci eravamo mai seduti davanti a un paio di domande concrete;

    avrebbe potuto indicarmi regole precise su come prendermi cura di mia madre o piangere assieme a me o dirmi che la vita era così, oppure restare muto col suo dolore per doverci lasciare. Invece no: che Perón era morto, che lo tenevano lì e non volevano dire niente, ma che era morto. Trovare un senso a questa immagine mi avrebbe consegnato, molto tempo dopo, ora, un romanzo.

    Fu di mattina, ero andato all’ospedale con Diego, mio fratello maggiore, come quasi tutti i giorni da circa un mese; quell’abitudine di far decantare la preoccupazione nell’autobus trentanove, rivivere poi quel batticuore e farlo salire su per quindici scalini, presentarsi all’accoglienza col timore di essere sempre in difetto, anche in orario di visite,

    e poi il grigio interminabile del corridoio e, se avevo fortuna, Estela di turno con la sua scollatura adeguata al riscaldamento dell’ospedale e i suoi occhi di un’adolescenza finita da poco; la stanza duecentoquindici, mio padre attaccato alla flebo, relegato in un letto bianco circondato da sedie e da qualche parente. Fu di mattina,

    mia zia Sara era già seduta pronta a fargli compagnia e la conversazione tra loro avrebbe preso chissà quale direzione, quando mio fratello e io girammo il pomello della porta con quell’apprensione di non sapere mai se il momento fosse giusto o se era meglio tornare più tardi, quando l’iniezione, il controllo di routine o quel che fosse sarebbe terminato.

    La chiacchierata tra zia e papà rimase perciò in sospeso, interrotta dalle parentesi per darci il benvenuto e dai movimenti per farci accomodare in una posizione accettabile, a metà strada tra la vicinanza dell’affetto e l’ansia per gli aghi che bucavano il corpo di mio padre. E poi, la difficoltà di noi quattro di sostenere una situazione di così tanta sofferenza,

    i sogni condannati ormai all’oblio, i silenzi diventati vecchie rivi- ste o voglia di andare in bagno, il futuro. Sarebbe stato dunque più che conveniente inventarsi qualcosa da fare, in quella stanza dove la tristezza era l’unica interlocutrice possibile. Per questo il sollievo di mio fratello quando vide la bottiglia dell’acqua minerale quasi vuota e osservò che era il caso

    di andare a comprarne altre al più presto. Lei lo avrebbe accompagnato, disse mia zia, così approfittava per comprare in farmacia delle medicine di cui c’era bisogno. Dovevo accettarlo: stavolta mi avevano battuto sul tempo e condannato ad almeno venti minuti da solo col pallore di mio padre, a contare nella mia impazienza la lentezza dei passi della zia, a socchiudere gli occhi

    alla noia che la calma domenicale dilata piano piano. A un certo punto della mia inquietudine – mio fratello sicuramente stava ancora cercando scuse per ritardare il rientro – presi il giornale dal comodino e diedi un’occhiata ai titoli della prima pagina, tanto per offrire un diversivo ai miei occhi che non facevano che indugiare sulle rugosità della parete.

    «È morto» e la voce di mio padre perforò il mio modo di stare seduto lì, presente a metà, e fu come se all’improvviso stesse parlando di se stesso. «Come?». Guardai il suo viso ritagliato dal bordo del giornale, col panico di trovarmi solo davanti a quelle parole. «Perón. Quello che scrivono sul giornale sono tutte bugie. È morto; lo tengono lì e non vogliono dire niente ma è morto»

    disse allora mio padre e forse lui stesso doveva sentirsi prossimo alla sua fine anonima.

    Segreto a più voci

Segreto a più voci

Traduzione di Giovanni Barone

Pubblicazione: 10 novembre 2023

Collana: Dissensi

Pagine: 240

ISBN: 979-12-80955-05-0

Disponibilità: Ottima

Prezzo: 16.50 

LA VERSIONE ITALIANA È LA PRIMA EDIZIONE ASSOLUTA DEL ROMANZO

La letteratura, come il corpo di Frankenstein, è formata da resti, da frammenti.

Un ragazzino, seduto in una stanza d’ospedale di fronte all’agonia del padre, ascolta quelle che finiranno per essere le ultime parole del genitore. Non consigli di vita né pensieri affettuosi né confessioni: un momento prima di chiudere gli occhi per sempre, gli svela una teoria cospirativa secondo la quale l’allora presidente argentino Juan Domingo Perón è già deceduto e che un gruppo di congiurati sta cercando di occultare la sua morte per mantenere il potere.

Il bisogno di trovare un senso a quelle parole porta il protagonista, ormai adulto, a un viaggio letterario attraverso i vergognosi segreti della sua saga familiare e degli anni nefasti della storia argentina.

La sua voce si alterna con quella di María Carmen, una donna stravagante che ogni giorno depone fiori sulla tomba di Perón e che finisce per essere testimone di un fatto di cronaca che colpì molto la società argentina del tempo: la profanazione della cappella funebre e il furto delle mani del corpo imbalsamato del presidente.

Le due storie si alternano ed entrano in contatto, costruendo un contrappunto che acquista sempre maggiore intensità fino a sovrapporsi in un finale sorprendente e rivelatore.

Bermúdez utilizza e decostruisce diversi generi letterari, dal poliziesco al romanzo di formazione, dai racconti del terrore al romanzo storico, giocando sulla tensione tra realtà e finzione, come quando il presunto scrittore irrompe nella trama come un personaggio in più.

 

Il traduttore

Giovanni Barone, già funzionario del ministero dell’Istruzione e poi degli Esteri, e collaboratore presso il Consolato generale d’Italia a Rosario in Argentina in programmi di diffusione della lingua e della cultura italiana. Per Edizioni Spartaco ha curato e tradotto la raccolta di racconti Bermúdez.

 

 

Libro pubblicato con il contributo della Regione Campania.

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Recensioni

“Questo agile romanzo è una raffinata e originale costruzione narrativa che merita di essere disvelata, pagina dopo pagina”. Marco Ostoni su La Lettura del Corriere della Sera.

 

“Realtà e finzione si mescolano in una storia ingegnosa che travolge il lettore, perché – come scrive l’autore- la letteratura agisce sulla realtà, modificandola.” Loredana Cilento su Mille Splendidi Libri e non solo.

“Lettura singolare in un panorama piuttosto piatto degli ultimi anni, questo libro non può lasciare indifferenti, va letto lentamente per restare imbrigliati in un’atmosfera al limite del nonsense, in cui devi darti da fare anche tu come parte attiva”. Francesca G. Marone su Letteralmentelive.

Intervista di Giuditta Casale a Fernando Bermúdez su Giudittalegge.

«Segreto a più voci è un racconto tipicamente argentino, pieno di misteri irrisolti, di militari, di spie, di golpisti e di gente comune che ha come un irrisolto che non riesce a superare, una fantasia a cui rimanere fedele fino alla distruzione». Pierangelo Consoli su Satisfiction.

«Segreto a più voci diventa in corso d’opera un romanzo metanarrativo in cui l’autore si gioca bene la tensione tra realtà e la finizione fino a concepire un finale inaspettato e sorprendente in cui è la grande letteratura che ha l’ultima parola». Nicola Vacca su Gli Amanti dei Libri.

«Proprio la contraddizione tra finzione e realtà è qui l’unica verità perseguibile, perché tali e tanti sono i percorsi della storia che ogni sentiero imboccato o evitato dà la possibilità di sperimentare un senso; un senso che salva dal caos, dall’indefinibile». Martino Ciano su Borderliber.

«Se «girarsi era prendere atto della storia» – come si legge tra le pagine di questo romanzo – allora bisognerà dire di trovarsi di fronte a un romanzo che la storia la prende di petto. La Storia, con la esse maiuscola. Ma anche la storia dei singoli personaggi che con la Storia tessono un dialogo». Simone Innocenti su Corriere Fiorentino.

Intervista a Fernando Bermúdez su Rai Radio 3 per la rubrica Fahrenheit.