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  • Lunedì... il primo lunedì di questo anno sciagurato. Non sono mai riuscito a ricordare la data, e tanto meno il giorno della settimana, degli eventi più importanti della mia vita. Ma questo non lo avrei mai dimenticato. Era mattino presto. Mia figlia Abeer mi chiese: - Papà, oggi è lunedì? Suo fratello Ammar la prese in giro ridendo: - Una domanda davvero arguta! Abeer lo ignorò:

    - In un giorno come questo è nato il Profeta. Papà, è vero che nel giorno della nascita del Profeta non può succedere nulla di male ai bambini? Mi divertiva ascoltare Ammar mentre, con il suo tono innocente, tentava di affermare la propria superiorità sulla sorella: - Ah, e questa sarebbe una novità? Lo sanno tutti! Li esortai perché si sbrigassero a uscire. Il sole era gradevole

    e splendeva piacevolmente. Senza volerlo mi ritrovai a indossare abiti leggeri, estivi. La madre di Ammar obiettò: - Stai forse dimenticando che siamo in pieno inverno? Le sorrisi e lasciai che Ammar prendesse le mie difese: - Ma papà! Hai detto che oggi farà caldo. E poi TeleKuwait ha previsto venti caldi da sud-ovest per tutto il giorno.

    Ci mettemmo a ridere. - Non dimenticare il denaro. Non dobbiamo assolutamente scordarlo. Prese la busta sopra la sedia e me le allungò con una domanda: - Credi che ce la farà a completare la casa entro la fine del mese? - L'importante è che noi gli diamo i soldi che ci ha chiesto. Lasciamo che lui faccia il resto. - Ancora non riesco a credere che vivremo in una casa tutta

    nostra. Niente più minacce dal «colonnello» , niente più problemi con case in affitto. Erano circa 2000 dinari. Misi la busta sotto il mio sedile in attesa che la macchina si scaldasse. Mia moglie mi sedeva accanto, ma mi pareva di sentire il battito del suo cuore sotto di me, dove c'erano i soldi. Continuava a ripetere di non dimenticarli, di ricordarmi di consegnarli al costruttore e io annuivo

    con la testa in segno di approvazione a ogni suo ordine. Nel frattempo, di dietro, i ragazzi continuavano allegri a fare domande sulla casa, sulle sue dimensioni e su quanto fosse bella. Io però ero preoccupato per via di quelle persone, non proprio accomodanti nelle questioni finanziarie, da cui ero stato costretto a prendere in prestito il denaro, e pensavo a come

    avrei assolto il mio debito. Mia moglie scese al quartiere della vecchia Bassora e io proseguii per altri cinque minuti verso il circolo di al- Jazaaer, dove lasciai i ragazzi, nei pressi della loro scuola. Poi ripartii in direzione del tribunale; da li dovevo attraversare la strada verso la caffetteria per incontrare il costruttore con cui avrei esaminato il progetto di casa, il progetto dei sogni

    dell'intera famiglia. Ma lui non c'era. Decisi di consegnare il denaro al suo vice, ma lo feci senza prima contarlo. Avevo fretta di tornare a scuola per convalidare l'ora di assenza che avevo ottenuto il giorno prima. Gli dissi che sarei tornato nel giro di un quarto d'ora. Com'era splendido il sole, che inondava la terra con il suo calore! L'unica cosa a guastare la giornata era la

    pioggia di un paio di giorni prima che aveva ricoperto le strade di una fanghiglia ora ridotta a nubi di polvere sparse dalle macchine in corsa. Davanti agli uffici dell'anagrafe l'auto cominciò a scoppiettare, tossì un paio di volte e si fermò. Provai ripetutamente a farla ripartire ma non ci riuscii. Kaputt. Un cumulo morto di ferraglia. Scesi e la spinsi verso il bordo della strada.

    Un gruppetto di studenti ridacchianti mi diede una mano mentre, sottovoce, si divertivano a ironizzare sulla mia auto per poi scoppiare a ridere. Li ringraziai. Avevamo tutti quanti il fiatone. C'era una brezza leggera e piacevole e mi asciugai il sudore dalla fronte. Lunedì! Il giorno della nascita del Profeta! Un buon auspicio? Prima, Abeer e Ammar avevano litigato su quale fosse

    la forma più appropriata nei suoi confronti. Era «Che Dio Lo benedica e Lo accolga» o solo «Che la pace sia con Lui» ? Non mi ero mai abituato a declamare tali abissi di profondità. Chiusi la macchina e presi l'autobus. All'improvviso, tra la folla di passeggeri, ricordai di non avere con me gli spiccioli esatti per pagare la corsa, ma un uomo dal viso lungo e con un naso pronunciato

    pagò il mio biglietto. Chi era? La sua faccia non mi diceva nulla ma, vabbè, un problema in meno. Un buon auspicio? Però l'immagine dell'auto rotta mi provocò uno spasmo al cuore. Avrei dovuto mettermi a cercare un meccanico onesto e questa sarebbe stata certo un'impresa! Nello specchio, i miei occhi incontrarono quelli di una giovane studentessa.

    Della facoltà di pedagogia, senza dubbio. Un leggero brivido risalì lungo la schiena. Vent'anni fa un incontro simile mi avrebbe eccitato oltre misura. Avrebbe colpito il mio ego e risvegliato sogni di grandezza. Ma cosa restava, oggi? Una fronte più sottile, la cui austerità era in qualche modo ingentilita da occhi calmi e pieni di sentimento. Scesi dal bus. Un vigile urbano

    nel suo gabbiotto, con l'elmetto bianco, una pancia leggermente prominente e occhi di falco, incarnava il sistema che serviva, cercando di infondere paura alle torme di automobilisti indisciplinati. Mi venne da sorridere leggendo il nome sulla sua targhetta: Sig. Miseria. Il mio sorriso svanì. Mi sentii spingere da tutto ciò che mi stava intorno. I miei polmoni

    traboccavano dell'aroma del tè che proveniva dalla nuova caffetteria di fronte all'Hotel Hamdaan. Mi sentii mancare. Avevo lasciato tutto il denaro a un uomo che non conoscevo e del quale non potevo fidarmi! E non avevo nemmeno insistito per farmi dare una ricevuta! L'unica prova dell'avvenuta transazione era la sua coscienza. E se lui avesse negato l'intero affare?

    Mi ritrovai improvvisamente in un bagno di sudore. Questa era l'ultima rata, messa insieme con denaro preso a prestito. Se l'avessi persa avremmo detto addio a tutti i nostri sogni. L'unica cosa da fare era sbrigarsi e andare dal costruttore e dal suo vice prima che ci arrivasse il demonio. Arrivai all'ingresso della scuola. Qualcosa, che nella mia fretta non riuscii a

    cogliere, mi costrinse a fare una deviazione, quasi un giro completo intorno al cancello, prima di entrare. Tirai fuori dalla mia tasca il permesso di un'ora. Abd al Raheem, il bidello, stava fumando. Mi restituì il sorriso con un sorriso. - Il preside chiede di lei. - Chi? Il preside Idris è tornato dalle ferie? Mi guardò perplesso, come fosse stato colto in fallo. - No. Il vicepreside, Muslim Ali,

    la sta cercando. Mi misi a ridere. - Chissà cosa avrà in mente stamattina? - Dio solo lo sa. Avevo già varcato la soglia dell'ufficio quando mi colpì il tono di cupo presentimento dello scambio di battute appena intercorso. Il vicepreside non mi restituì il saluto. Indirizzò invece un gesto verso una coppia di estranei presenti nella stanza con l'aria di chi compie un dovere sacro

    per il bene di tutti. Avvertii nell'aria un'inquietante carica elettrica. - Questi signori chiedono di lei. Uno era un tipo grasso, dalla pelle olivastra e con una grossa pancia. Vicino sedeva un omino scuro, piccolo e compatto, i cui occhi spenti castano chiaro traboccavano di qualche tormento interiore. Sorrisi nuovamente. - Pace e fraternità a voi! Muslim Ali mi presentò: - Lui è

    Mustafa Ali Noman. Gli uomini immediatamente si alzarono. Il loro sguardo era livido. Proprio io riuscivo a incutere una tale paura? Ero un uomo semplice e tranquillo, amato dai bambini e incapace di spaventare un gattino. Si erano preparati a un confronto? Ma con chi? Il grasso esordì: - Possiamo? La sua mano destra stava indicando l'uscita. La mia testa

    rimbalzò tra migliaia di possibilità. Forse dovevano indagare su qualche studente; forse c'era qualche questione di proprietà da definire. Camminai precedendolo. Si fermò davanti al cancello principale. Abd al Raheem stava ancora espirando nuvolette di fumo dalla sua sigaretta. Un paio di miei amici, Mohsen Abellah e Mohammad Saaei, mi salutarono allegri

    mentre, saltando i gradini tre alla volta, tagliavano la corda. Mi girai impaziente verso il mio interlocutore grasso. - Sono al vostro servizio. - Per favore, signore, ci segua. - Ma dove? - Un semplice interrogatorio... solo pochi minuti. - Interrogatorio? Quelle parole mi schiaffeggiarono. Provai a riprendere fiato. - Ma chi siete? - Sicurezza. Mi diressi con loro verso il cancello

    tormentato da un vortice convulso di domande. Perché non avrei dovuto seguirli? Ero innocente. Conoscevo me stesso meglio di chiunque altro al mondo. - Siete proprio sicuri che io sia colui che state cercando? - Mustafa Ali Noman? - Sì L'agente grasso piegò leggermente la sua mano, a dimostrazione di quanto appena affermato, e aggiunse:

    - Solo pochi minuti. Recitò queste parole col tono monotono di chi è stato abituato a ripeterle a lungo prima di impararle a memoria. - Perché non mi interrogate qui? Sforzò un pallido sorriso giallastro mentre indicava la macchina che era stata parcheggiata molto vicino all'inferriata della scuola, evidentemente per bloccare un fuggiasco, Ecco perché prima, per entrare,

    ero stato costretto a girare intorno al cancello. - Abbiamo degli ordini. Il tizio più piccolo si sedette al volante. Salii sul sedile, anteriore seguito dall'altro agente. Ero stato schiacciato verso il parabrezza del piccolo pick-up dai pochi centimetri di sedile lasciati dalle chiappe della guardia al mio fianco. Dovevo significare molto per loro, perché il ciccione,

    nel richiudere la sua portiera, sfiatò in un gran sospiro di sollievo. Allungò la mano per tenermi ferma la spalla neanche fossi un passerotto in grado di volare via dal finestrino. L'autista assunse uno sguardo tenebroso e pallido come un ladro che ha appena sottratto qualcosa di sacro. Notai poi che il ciccione, affannato, aveva assunto un falso sorriso per dissimulare

    quella che doveva essere una gran paura. Pensai che noi tutti eravamo vittime negli artigli dello stesso feroce destino. Questa scoperta mi diede fiducia. Sorrisi e dissi: - Sicuramente avete confuso la mia identità... Non ci fu alcuna reazione. Avevano vinto il loro premio e non vedevano la necessità di parlare così tanto. Allora il ciccione si girò verso di me con l'aria di possedere

    una qualche intelligenza privilegiata: - Dov'è la tua... uhm... Volkswagen rossa? La meschinità della domanda mi disgustò. Risposi: - Morta.

    Saddam City

Saddam City

traduzione di Luisa Baggi

Collana: Dissensi

Pagine: 143

ISBN: 9788887583502

Disponibilità: Buona

Prezzo: 14.00 

«... un regime brutale, un paese governato dalla paura, dove gli innocenti vengono abitualmente incarcerati e torturati» - Liberator

«In un giorno come questo è nato il Profeta. Papà, è vero che nel giorno della nascita del Profeta non può succedere nulla di male ai bambini?», chiede la figlia al protagonista del romanzo. Ma, proprio quel maledetto lunedì, Mustafa viene prelevato dagli agenti della Sicurezza di Saddam davanti alla scuola in cui insegna. Non conosce i motivi del suo arresto e per quindici mesi viene trasferito di prigione in prigione, torturato, sottoposto a indicibili soprusi. La sua pena sarà alleviata solo dalla dignità, dal coraggio e dalla solidarietà dei suoi compagni di detenzione. Strazianti e intense come non mai le descrizioni della vita carceraria sotto un regime totalitario.

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Recensioni

• «Saeed era un detenuto sotto il regime di Saddam Hussein e i dettagli che narra in questo romanzo sono terribili» (Independent)

• «… tutti coloro che volessero saperne di più sull’Iraq e su Saddam leggeranno i lavori di Mahmoud Saeed» (Anna Battista, Erasing Clouds)