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  • Sono il primo ad arrivare in chiesa dopo il morto, per quanto a pallore lo batta. Non cambia molto, dentro o fuori: gli occhi dei santi picchiano come quelli dei paesani, solo che gli eletti non hanno pietre da scagliarti addosso ma punizioni divine. E le prime fanno male perché esistono davvero. Sto su un tappeto rosso che è come separasse le acque, eppure io non salvo me stesso, figurarsi un popolo,

    figurarsi questo. L’incenso mi riporta a venti anni fa, quando mia madre mi educava cattolico e l’unica cosa che mi piaceva della parrocchia era l’odore all’ingresso proveniente dal turibolo. Indugio ancora sul volto del morto. Sospiro. Io posso, lui no. Per ora, tra noi due,

    colgo questa differenza. Una mano sulla spalla. «È proprio vero che chi non muore si rivede, eh?». Mi giro e riconosco subito la cicatrice sulla guancia destra: Palmiero Adinolfi. Sorride. Sorrido. Il morto no. Ecco un’altra differenza. «Ti va se usciamo a fumarci una sigaretta?».

    Fuori è un caldo da crepare: sono le tre del pomeriggio di un 12 luglio che non promette nulla di buono. L’asfalto brucia, il sagrato arde, non un alito di vento. La pianura sa essere crudele quando è di ottimo umore. Ho smesso di fumare o almeno mi piace pensarlo. Oggi ricomincio soltanto per finta. Basta non dirlo ai bronchi, sennò fanno un capo così alla testa.

    «Hai figli?» mi chiede a bruciapelo Palmiero, guardando davanti a sé. «Uno» dico, «di sei mesi». «Bravo» fa lui sputando a terra. «Proprio bravo. Ci vuole alla nostra età. Sposato?». «Convivo». Ride, mollandomi una pacca da svellere le clavicole. «E doppiamente bravo! Così ti fai una ficcata accà e una allà». «E tu?». Palmiero ride ancora, tra una boccata e l’altra. Ammicca, poi fuma, poi ride. Non risponde.

    «Hai figli, tu?» insisto. «Una moglie?». «Io? Qui? Manco ’u travagghiu». Scontato, come lo è il costo della vita. «Chi è furbo scappa, si fa una famigghia, una carriera. Agiallu va duve truva granu. Come a tia, no?». La ruggine filtra tra i denti assieme al fumo. Mi lancia uno sguardo obliquo, soppesandomi. Certo, Palmiero.

    Come me. Chi ci starebbe ancora qui? tu lo sai. Bimbi sperduti, forse, ma un tempo; ora al limite adulti spiantati, che hanno svenduto Peter Pan al primo appalto truccato disponibile. «E la messa chi la dice? Don Matteo?». Palmiero ha un nuovo fremito di risa, boccheggia quasi. «Mi, si vede che sei rimasto indietro. Don Matteo non ci sta più. Ma da un pezzo».

    Don Matteo. Il sagrato. Alessio e i Verdi. Manuel. Le lotte. Le botte. Le rotte tracciate sghembe dalle bici. Il presidio davanti alla chiesa. La Band del Nord. I nemici, gli alleati, i traditori. L’amicizia, il pudore, il sudore. Noi. «Perché, che gli è successo?». «Voci» sogghigna Palmiero, «un po’ nella sua testa, un po’ fra la gente. Sai, questi non ciulano tutta una vita, arriva il momento che sbroccano...».

    Finiamo le sigarette, le gettiamo fra i radi fili d’erba, agonizzanti nella loro secchezza: le braci bruciano ancora un poco, come chi resiste in periferia, fino poi a spegnersi, contorcendosi in silenzio ai margini di una strada. Nel frattempo entra qualcuno. Nuche ignote che non riesco a distinguere. «Io non conosco più nessuno, qui». «Chi può dirlo? Il tempo cambia tante facce».

    «Cambia anche il paese?» chiedo. «Quello no, è l’unica cosa che il tempo se ne fotte. È la solita piaga di merda e cemento. Ma questo lo sai». Lo guardo. Mi guarda. Lo so. «Cosa invece non so?». Mi guarda. Io no. Lo sa. «Un mucchio di cose» dice a bassa voce. «Rientro».

    Sono millenni che non vedevo tutto questo: il sagrato, selciato di ghiaia e sterpi. Il muretto in pietra che lo circonda mi riporta alla mente Alessio e i Verdi. Stavano spesso seduti lì, con lo zaino gonfio e lo sguardo cattivo. «Tutto bene?» mi chiede Palmiero raggiungendomi. «Sì» ma penso di no. «Allora, vuoi che ti dica cosa non sai?». «No» ma penso di sì. Non ancora almeno.

    Müchela, Iena

Müchela, Iena

Pubblicazione: 27 maggio 2021

Collana: Dissensi

Pagine: 176

ISBN: 9788896350911

Prezzo: 14.00 

Don Matteo. Il sagrato. Alessio e i Verdi. Manuel. Le lotte. Le botte. Le rotte tracciate sghembe dalle bici. Il presidio davanti alla chiesa. La Band del Nord. I nemici, gli alleati, i traditori. L’amicizia, il pudore, il sudore. Noi.

Un amico è morto. Mirko torna, per il funerale, nel paese che l’ha visto crescere nella Bassa milanese. Tra infanzia e adolescenza, si srotola il filo dei ricordi che lo lega alla Band del Nord, slabbrata armata di ragazzini che hanno dichiarato guerra all’universo intero e soprattutto alla periferia sud. Questi mondi si urtano, lasciandosi addosso lividi che verranno sanati forse solo durante la messa funebre. Un romanzo di formazione, crudo, diretto, toccante, che rimanda a Golding, Molnár, Salinger, Pasolini. «La regola aurea è nota: vieni da giù? Stai nella zona nuova, destinato a delinquere. Sei nella parte vecchia? Allora da figlio del Nord opti solo per qualche droga al parchetto, nulla che non passi dopo l’adolescenza. Mescolarsi comunque non è previsto, perché moglie e buoi sono una questione di vicinato, non più solo di paese».

Una storia per chi ha attraversato la fanciullezza in sella a una bici. Per chi ricorda limpida la sensazione del primo lunedì delle vacanze estive. Per chi ha vissuto l’inverno dentro e fuori. Per chi, bersaglio di pregiudizi, si è fatto scudo con la vera amicizia. Per chi è convinto che leggere e amare siano la stessa cosa.

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Recensioni

«…basterebbero queste considerazioni sul tempo perduto per definire il romanzo un piccolo gioiello, un fiore sulla scogliera, un fico degli ottentotti rosso brillante in mezzo al grigiore di troppe inutili pietre. Leggetelo. Non ve ne pentirete». Gordiano Lupi per le belle parole dedica belle parole al romanzo di Vincenzo Trama Müchela, Iena su Leggere:tutti

«Sullo sfondo l’autore tratta il tema della diversità e dell’integrazione, con la leggerezza e l’ironia dei ragazzi. Una contrapposizione che è anche figlia di quel disagio adolescenziale non necessariamente legato alla famiglia di origine, alla condizione economica e sociale ma al bisogno innato di trovare il proprio posto nel mondo, la propria dimensione». Domenico Lauria su Modulazioni Temporali scrive del romanzo di Vincenzo Trama Müchela, Iena

«Quanto calore ho trovato in questo romanzo, quanta umanità, sentimenti raccontati con tale maestria che può scapparci anche la commozione, ho pensato a John Fante, ad un Arturo Bandini di casa nostra, quanto  mi è piaciuto Mirko, quanto mi è piaciuta sua madre». Elisabetta Favale per Linkiesta recensisce Müchela, Iena

«L’autore con “Müchela, Iena” affronta varie tematiche importanti come, per esempio, il razzismo e l’integrazione».  Gabriele Beltrami recensisce il romanzo di Vincenzo Trama, Müchela, Iena
«Müchela , Iena è davvero un bel libro da leggere», scrive Loredana Cilento
«Maneggiando con perizia il doppio piano temporale, Trama racconta la storia dell’eterna emarginazione che si fa condanna, analizzando con umanissimo disincanto la realtà di un’integrazione impossibile. Il risultato è straordinariamente toccante, lo sguardo selvaggio e di tenerezza feroce». Erika Di Giulio per Medea Magazine
«“Müchela, Iena” di Vincenzo Trama è un libro che si riesce a leggere in poche ore, ma poi ti lascia una sensazione di nostalgia che va oltre la periferia milanese, una nostalgia che non ha luogo di nascita e che appartiene a tutti», Senzaudio
Tre morsi per  “Müchela, Iena” su Mangialibri
«Vincenzo Trama rende epico ogni singolo episodio, ogni bravata, ogni giornata trascorsa dai ragazzini che si trovano in un luogo di frontiera: geografico e anagrafico». Paolo Perlini su CrunchEd