Nei romanzi gialli dello scrittore Maurizio de Giovanni gli spiriti svelano gli ultimi istanti di esistenza dei morti ammazzati. Nella raccolta Gli altri fantasmi, pensata per il teatro, queste presenze prendono il sopravvento confondendosi con i personaggi reali. È un incontro tra anime in pena, le anime di una città. «Napoli è così – scrive de Giovanni –: milioni di persone in uno spazio ridottissimo, una sull’altra e ognuna con la sua memoria, i suoi affetti, la testarda voglia di sopravvivere a tutto, persino a se stessa».
In questa «trilogia della sospensione tra la vita e la morte», come la definisce il regista Francesco Saponaro, «c’è la città con i suoi vagheggiamenti e le sue ferite che non si rimarginano». Qui è possibile imbattersi in una bambina scalza, dai grandi occhi neri che non versano lacrime, che corre tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli agli inizi del Novecento, e che riconosce nel viso di una Madonna lo spettro di sua madre: nel testo La canzone di Filomena, la prosa di de Giovanni si eleva a lirica del dolore. In Storia di Papo e Bimbomio, racconto forte, dolente, infame per usare un’espressione dell’attore Tony Laudadio, un padre, attraverso le pupille di un vecchio cieco, ripercorre nei ricordi tutte le declinazioni della sofferenza, dalla malattia alla morte del figlio.
Registro diverso per La casa è il mio regno, che induce a un sorriso amaro e ammicca a un caffè d’autore di eduardiana memoria. Stavolta è l’odio a irrompere sulla scena, un veleno letale nel condannare all’infelicità marito e moglie, potente nel tenerli uniti per l’eternità.
Gli altri fantasmi, «ora li guardo vivere le loro storie – recita Chiara Baffi – e ne rimango incantata».