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  • Uno

    L’uomo arrivò alla stazione che era già buio. Scese dal treno e si avviò verso l’uscita. Aveva lunghi capelli bianchi raccolti a coda, il volto scarno e l’andatura curva sotto il peso di una sacca. Dalle tasche del giaccone spuntavano un libro e un quaderno. Appena fuori dalla stazione si guardò intorno. Un luogo insipido, spento. Il punto focale della sua attenzione fu subito laggiù, in mezzo a

    un gruppo sparuto di case che tremolavano di poche luci fredde sul fianco nero della collina. Del paese si scorgeva poco da quella distanza, fatta eccezione per il campanile. Privo di luce, sembrava svettare nell’ombra. L’uomo si accese una sigaretta. Faceva molto freddo, la sacca era pesante e l’ultima corriera della giornata era ormai partita. L’ora non concedeva alternative.

    Se la sarebbe fatta a piedi.

    Due

    Di quella riunione di giunta non esiste lo straccio di un verbale. Fu una comunicazione informale, buia e frettolosa quanto gli eventi che stavano precipitando. Il sindaco Lamberto Franchini, classe 1957, da quattro anni in carica, tradiva il movimento nervoso all’insù di un angolo della bocca, una specie di tic che si accompagnava a spasmodiche strizzate

    d’occhio, creando una smorfia comica fuori contesto. «Il momento è grave» sentenziò. «Se vi ho convocati d’urgenza è perché il disastro è alle porte» «Oddio, un terremoto...» azzardò il primo assessore. «Peggio, caro cugino, molto peggio». «Peggio di un terremoto? Ci attaccano i terroristi?» chiese il secondo assessore, la cui curiosità stava precipitando nel

    panico. «Ma che avete bevuto, tu e tuo fratello?» rintuzzò rabbioso il sindaco, indifferente ai vincoli di parentela. «Vi sembra che questo posto possa interessare a qualcuno? Terremoti, attacchi terroristici...Voi due lavorate troppo di fantasia, e non sapete guardarvi intorno. Questo paese è ormai diventato un rifugio di morti. Ci sono più croci che abitanti,

    e rischiamo seriamente di arrivare al punto di non ritorno». «C’è un contagio mortale?» domandò il primo assessore. «L’unico contagio è quello che vi ha rammollito il cervello. Possibile che non vi siate accorti di niente?». «Parli bene, Lamberto, ma non ci capiamo nulla» dichiarò sconsolato il secondo assessore. «Sto dicendo che siamo vicini alla soglia letale. Altri dieci abitanti

    in meno e il comune di Roccapelata si dissolverà come frazione di una comunità montana. Avete capito bene? Saremo accorpati, assorbiti, risucchiati. Vi è chiaro il messaggio? Niente più municipio, né sindaci, né assessori. Niente più riunioni né gettoni di presenza. Niente più auto di servizio né ufficio postale, e neppure carabinieri. Siamo vicini alla

    fine, cazzo. Solo un miracolo potrebbe salvarci». «Già...». «Già...». «Ma che cosa vi ho convocati a fare? Non avete nulla da dire? Suggerimenti, proposte...». «Il capo sei tu, cugino». «Davvero? Fino a quando si tratta di incarichi siamo tutti sulla stessa barca. Prestigio e tanti vantaggi. Quando c’è un problema, però, deve pensarci solo il capo...». «Tu che cosa

    proponi?» chiese Giovanni, primo assessore per motivi anagrafici. «A dire il vero vorrei sbattervi fuori, solo che poi ci sarebbero due abitanti in meno. No, l’unica soluzione è invertire l’andamento demografico...». «Come pensi di attrarre persone in questo posto? Turismo ce n’è sempre meno, botteghe e negozi hanno chiuso da un pezzo...». «Per non parlare dello stato

    dell’agricoltura» aggiunse Vinicio, il secondogenito. «Come assessore competente posso solo constatare che i ragazzi scappano via ancora prima di diventare maggiorenni. Nessuno vuole più coltivare i campi, nessuno vuole più faticare, la televisione ha prodotto generazioni di giovani abbagliati dal successo facile e ha cancellato le tradizioni» e nel dire questo sbirciò in

    direzione del fratello maggiore con una smorfia di compiacimento in punta di bocca. «Coglione, guarda che l’ho letto anch’io l’articolo che stai citando a memoria... Non m’interessano queste analisi sociologiche da strapazzo. Esigo fatti. Una correzione di rotta prima di affondare» sussultò il sindaco, il cui tic era ormai fuori controllo. «Ci sono» esclamò il primo cugino.

    «Creiamo un evento. Che so? Una sagra, una fiera, una mostra fotografica...». Il sindaco si alzò e scostò la tendina della finestra. Fuori era buio profondo, ma conosceva il paese a memoria: «Vedo solo un bar tabacchi, un parrucchiere, una stazione dei carabinieri e un minimarket da tessera annonaria. In fondo a destra una locanda da film horror. A essere larghi di

    manica ci aggiungiamo pure il loculo che quel ciarlatano del Piazzesi osa chiamare presidio medico anche se è solo una parafarmacia. E tu proponi di creare un evento? Basta cazzate, cugini. C’è solo un modo per evitare l’estinzione. Dobbiamo far nascere più bambini. Non m’interessa se a sedici anni o giù di lì se ne andranno via. Voglio che il registro dell’anagrafe si gonfi di

    nomi nuovi. Voglio culle e battesimi. Sono stato chiaro?». «Mah, così su due piedi...». «Al lavoro. Andate e scopate. In due fate quasi ottant’anni, e ancora non avete pensato a riprodurvi...». «Ma Lamberto» si difese Vinicio «anche tu però...». «Io cosa?» replicò seccamente il sindaco. «Lo sai bene che Luisa non può avere figli. Vuoi riaprire una ferita di famiglia?». Nessuno degli

    assessori osò avanzare obiezioni. Così si chiuse la frettolosa riunione di giunta di cui non esiste verbale. Era il 23 febbraio 2013, e un senso di sciagura incombente calò sul volto dei due fratelli. «Se propongo a mia moglie di fare un figlio, quella chiede come condizione di andarsene da qui» commentò in strada il primo assessore. «A me lo dici? Clara si è già trasferita

    in città da sei mesi, e quello si comporta come se nulla fosse accaduto. Gli piace fare la parte del sindaco, a lui. Ma lo voglio vedere, adesso...».

    Tre

    L’aria era cruda, tagliente. L’uomo imboccò la via principale del paese con il passo di un vecchio che si ostini a procedere contro la corrente degli anni. La sacca portata in spalla tintinnava del rumore di alcuni attrezzi. Gli edifici ai lati della strada sembravano essere stati gettati lì per sbaglio. Palazzine basse di cemento, case di pietra restaurate

    frettolosamente, un miscuglio architettonico di antico ricostruito senza bellezza e moderno andato a male. Muri scrostati, insegne al neon già spente, luci fioche come lanterne, le targhe delle vie simili a lapidi grigie, e l’unica lapide trascurata in un angolo come se indicasse una strada senza uscita. Un paese ridotto al lumicino. Poi il manifesto mezzo staccato di una pubblicità

    di reggiseni che galleggiava nel buio. Le dieci di sera, e aveva la sensazione di camminare in un cimitero. Tutti rintanati dietro le poche finestre che rimandavano la luce intermittente degli schermi. Un caleidoscopio di immagini regolato dal telecomando, e per sottofondo l’eco sorda delle voci televisive. Continuò a camminare stretto nel suo giaccone,

    piegato da quell’aria fredda come la pelle di un morto. Un anarchico che aveva perso fiducia nell’umanità era un problema esistenziale. Qualcuno lo aveva risolto con il suicidio, altri convertendo la fiducia in una strana e tenace fede nella libertà. Lui si era tenuto alla larga dai rubinetti del gas, ma la fede cominciava a vacillare. Quel luogo era intriso di morte. Il silenzio degli

    assenti si respirava ovunque e convergeva sul campanile, proprio lassù in cima. Eccola, pensò. Adesso che era arrivato, sentiva tutta la fatica della camminata. Sotto la debole luce di un’insegna vide il cartello con la scritta Stanze. Sì, aveva bisogno di dormire qualche ora, e gli sembrò miracoloso che un posto così squallido potesse regalare una sorpresa. Non aveva

    prenotato la camera, ma non ebbe problemi nel trovarne una libera. Piano terra con vista sul campanile. Puntò la sveglia, sistemò la sacca ai piedi del letto e cercò la tregua di un sonno breve.

    Il sabotatore di campane

Il sabotatore di campane

Collana: Dissensi

Pagine: 200

ISBN: 9788896350324

Disponibilità: Ottima

Prezzo: 12.00 

La voce di Dio che corre e si propaga. Adesso l'avrebbe spenta lui

Giunto alla chiesa, si sorprese ad ammirare la spoglia superiorità di quell’edificio antico, forse l’unico del paese. S’intuiva ancora la mano di uomini vivi. L’ipocrisia stava nei simboli. Il campanile tozzo s’impennava al cielo con uno slancio sgraziato, troppo aggrappato alle fondamenta per evocare lo spirito dell’ascesa.

Sindaco e assessori sono preoccupati: la popolazione diminuisce di anno in anno e loro rischiano la poltrona se il comune verrà declassato a frazione. Un orologiaio anarchico, meglio conosciuto come il «sabotatore di campane», accenderà i riflettori su Roccapelata. Da tempo Gaetano Gurradi è in cammino per spegnere la voce di Dio in ricordo di un eccidio dimenticato. Stavolta, proprio quando sta per mettere a segno il «colpo», viene scoperto sul fatto dal parroco che, dopo una colluttazione, scivola giù per le scale e muore. L’anarchico si costituisce. Nessuno gli crede. Uno dopo l’altro i paesani sfilano davanti all’ambizioso magistrato che coordina le indagini, Astolfo Carugis, autoaccusandosi e svelando scheletri nell’armadio pur di ottenere notorietà. Gli aspiranti colpevoli richiamano così l’attenzione dei media sul paese moribondo. Ridotto a una comparsa di se stesso, Gaetano dovrà riattraversare il territorio della sua memoria per sfuggire alla follia, ripercorrendo il viaggio che dai primi anni Sessanta lo ha portato fino all’ultimo campanile e al fatale, insensato epilogo. Ogni significato affiorerà nella riscrittura dei suoi ricordi, tra i quali un posto speciale è riservato a Emma. Una storia grottesca a tinte noir che corre sui binari di un’utopia sfuggente e di una realtà illusoria.

Paolo Pasi (1963, milanese) è giornalista Rai e scrittore. Ha vinto il premio giornalistico “Ilaria Alpi” e il premio “Giallomilanese”. Per Edizioni Spartaco nel 2009 è uscito il romanzo Memorie di un sognatore abusivo, accolto in maniera lusinghiera dalla stampa («Un cocktail dove Zavattini sembra andare a braccetto con Orwell e Cronenberg» la Repubblica; «Una distopia scorrevole e beffarda» Corriere della Sera; «Uno dei migliori romanzi futuribili italiani degli ultimi anni» Il Giornale), nel 2011 la raccolta di racconti dal titolo E il cane parlante disse bang, nel 2013 il romanzo Il sabotatore di campane. Del 2015, infine, il suo ultimo successo L’era di Cupidix. 

Paolo Pasi è anche chitarrista e compositore: il cd Fuori da schermi raccoglie nove canzoni, di cui ha scritto musica e testi. Fa parte della giuria del premio musicale Piero Ciampi.

 

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