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  • Prologo. «Stai rapinando il cimitero sbagliato!»

    Tre passi nel buio. Lo zingaro scruta nel profondo della notte. Guarda verso di me. L’oscurità mi nasconde. Io aspetto che sia il padrone a fare la prima mossa. E avanzo. Wof. Lo zingaro e la sua compare non attendevano visite. Dopotutto nemmeno i morti di San Sallier si aspettavano quei profanatori di camposanti. Non tutti, almeno.

    Lontano dal villaggio dormiente, la coppia si è intrufolata nel cimitero. L’uomo, una figura imponente, agghindato con il tradizionale costume macedone, infila la zappa ai piedi della croce e scava. Dopo diverse vangate arriva alla bara, fresca di sepoltura. Molla il badile e in due rimuovono il coperchio armati di martelli e piede di porco. La donna salta nella buca.

    Di giorno, elemosinando in giro, hanno cercato informazioni. Da un mendicante hanno raccolto la dritta che ora sperano gli valga una fortuna. Non hanno a che fare con il cadavere di un povero cristo, nel catafalco c’è un ricco signore. A dire di quello strano vecchio cencioso si tratta del colonnello Savino Melìa, massima carica dell’esercito borbonico di stanza in quel territorio.

    E per fare una simile carriera, una piccola fortuna deve pur averla accumulata, hanno pensato i due. Il morto è di una decrepitezza sorprendente. Non per questo la zingara si scoraggia. Al collo la donna sfoggia un bijou fatto di monete d’oro, ai polsi una decina di sottili braccialetti di metallo prezioso, e tutti quei gioielli tintinnano mentre fruga fra i vestiti del defunto.

    È alla ricerca dei preziosi sepolti con il notabile e che i familiari gli hanno lasciato come dono per l’aldilà: in questo modo la donna può impinguare la sua dote personale, quegli ornamenti che si porta addosso e che accresce di villaggio in villaggio, di cimitero in cimitero. Al segnale convenuto inizio l’avvicinamento.

    Lo zingaro punta il naso affilato nella mia direzione. Fa segno all’amante di fermarsi. Lei ritorna in superficie e alza la fiaccola per vedere meglio. È di una bellezza selvaggia. Lui muove una mano – scorgo il bagliore dell’anello d’oro al pollice – e la porta sull’elsa della daga che gli spunta dal fodero di cuoio allacciato ai calzoni alla zuava. I due trattengono il respiro.

    Ed eccoci al punto. Come dicono gli amici inglesi del padrone: here we are. E come dice il mio padrone, con tono querulo e alla siciliana: «Cà semu». Il mio muso è il primo a mostrarsi alla fioca luce della lanterna. La testa, dalle piccole orecchie sino al pelo ondulato sul collo, è dipinta di bianco. I tombaroli sono allibiti.

    Devono aver già visto un cane di mannara, ma mai uno come me. Si guardano tra di loro, dapprima increduli. Ed è proprio quello che voglio io... Poi l’uomo rilassa la mascella sotto i baffi spioventi. E lei scoppia in una risata esagerata. Wof. La cosa mi abbrucia non poco. Tutta colpa del maestro di casa che, di sua speciale iniziativa, ha truccato il mio pelo nero focato.

    Dovrei sembrare un cane posseduto, un cane morto e risorto, assomigliare al mio padrone. Il cane-ombra! E invece... «Ma lo hai visto?» mi sbeffeggia lo zingaro, con le risate che gli fanno ballare gli zigomi ossuti. «E tu chi saresti?» sogghigna la donna che, passata l’euforia, salta di nuovo nella fossa per riprendere da dove si era interrotta. Wof! Wof!

    I miei abbaiamenti sono un altro segnale convenuto. Stavolta tocca davvero al padrone. Wof! Una spaventevole vociferazione risale dal fondo della bara. I ladri di tombe si voltano a guardare. Sopra le guance ceree, il defunto apre gli occhi. Due lampi verdi sulla faccia cuprea. Lo zingaro freme dalla testa alla pianta dei piedi, la ragazza manda un urlo.

    Il morto allunga le braccia, due guanti rossissimi, e si solleva a metà busto, con il cilindro rosso sulla testa: «Io sono giustizia!». La zingara si allontana dal morto redivivo, incespica sul vestito della festa, un tempo quel pesante abito tradizionale diceva che era un partito buono, ora la fa inciampare, frana ogni suo tentativo di arrampicarsi sulle pareti friabili della buca per fuggire dalla terra esecrata.

    Il Malombra tiene una catena nella dritta e con quella imbrigliare la donna è affare di un solo istante. Lei si dimena nel tentativo di liberarsi dalla morsa, continua a gridare. In volata il Malombra si porta in superficie. Uno spettro nero con il mantello che gli svolazza alle spalle come una nube sanguigna.

    «Aspetta» implora lo zingaro. Dal fodero con la punta in filigrana d’argento, estrae la daga ricurva. Il mio padrone fa guizzare lo spadino francese. «Questo cimitero è troppo piccolo per tutti e due». Siccome non mi piace restarmene inoperoso, prima che lo scontro abbia inizio spicco un balzo e azzanno il polso del criminale.

    Lo lascio andare solo quando molla l’arma. Mal per lui. Il ghigno scheletrico che il mio padrone si è disegnato sulla bocca si distende in una linea satanica. Il giustiziere afferra lo zingaro per la camicia mentre supplica: «Ti prego, non farmi del male». Sembra finita.

    Ma non siamo soli. Percepisco una strana presenza. Ne sento l’odore, il fiato affannato. Studia di attaccarci. Anzi, sta vieppiù accelerando la corsa. Wof. Wof. Wof. «Diavolo, sta’ cheto!» s’indispone il Malombra. Poi si ferma di colpo. Troppo tardi, forse. Wof.

    Anche il vendicatore scorge qualcosa. E si mette in guardia. Wof. Con prontezza di riflessi lo zingaro pianta il cuoio dei suoi stivaloni sulla schiena del mio padrone e tenta la fuga. Il Malombra ruzzola tra le croci di legno, con il viso contraffatto e gli occhi in fiamme. L’uomo tende la mano alla complice ormai libera dalla catena e l’aiuta a venir fuori dalla fossa.

    È davvero troppo tardi. Wof. Wof. Una creatura spaventosa saetta sui due tombaroli. Lo zingaro mantiene la calma. Si gira e conficca i suoi occhi in quelli della creatura, che spalanca le fauci, mostrando tra i filamenti di saliva i canini acuminati.

    Il ritorno del Malombra. La maledizione del Puparo

Il ritorno del Malombra. La maledizione del Puparo

Pubblicazione: 13 dicembre 2024

Collana: Dissensi

Pagine: 216

ISBN: 9791280955128

Disponibilità: Ottima

Prezzo: 15.00 

«Questo è il ruolo dei Valentini, questo è il ruolo del Malombra. Stare in posizione, anche quando ci odiano, e proteggerli tutti».

Sicilia, 1848. A San Sallier i mafiosi hanno paura di mettere il naso fuori di casa da quando c’è un nuovo eroe in città: il Malombra. Ma oscure presenze minacciano la pace ritrovata. Nottetempo una misteriosa creatura saccheggia il bestiame nelle campagne. Gli avvistamenti parlano di uno strano essere lupo e il colonnello Savino Melìa e il suo fidato braccio destro, il maggiore Niccolò De Luca, stentano a capirci qualcosa. Come se non bastasse, puntuale come il Carnevale, arriva al villaggio il terrificante “Circo degli orrori”. Il suo enigmatico capo, il Puparo, attivando la “macchina del fango”, riesce a infamare la figura del Malombra e presto l’infallibile giustiziere si ritrova solo e smascherato. Odiato dalla stessa gente che protegge, la sua missione è fatta a pezzi. Pure il suo alter ego, il principe Leonardo Valentini, viene messo in un angolo. Leonardo dovrà comprendere appieno cosa significa essere il Malombra e, per farlo, avrà bisogno di tutto l’aiuto dei suoi più cari amici – il fido cane-ombra Diavolo, il geniale cugino Federico e il maestro di casa Montalbán – e dell’amore impossibile della sua vita: donna Doriana.

Paura e ritrovato coraggio, cocenti sconfitte e luminose rivincite, formidabili scene d’azione in un contesto storico ricreato con puntuale cura dei dettagli, ingranaggi di una trama complessa come il meccanismo di un orologio che si dipana tra colpi di scena, imprese rocambolesche e invenzioni che precorrono i tempi: nulla è risparmiato al Malombra né il divertimento al lettore.

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«Paura e ritrovato coraggio, cocenti sconfitte e numerose rivincite, formidabili scene d’azione in un contesto storico ricreato con puntuale cura dei dettagli, ingranaggi di una trama complessa come il meccanismo di un orologio che si dipana tra colpi di scena, imprese rocambolesche e invenzioni che precorrono i tempi: nulla è risparmiato al Malombra né il divertimento al lettore» Recensione su Libri Senza Gloria.

«Paura e ritrovato coraggio, cocenti sconfitte e numerose rivincite, formidabili scene d’azione in un contesto storico ricreato con puntuale cura dei dettagli, ingranaggi di una trama complessa come il meccanismo di un orologio che si dipana tra colpi di scena, imprese rocambolesche e invenzioni che precorrono i tempi: nulla è risparmiato al Malombra né il divertimento al lettore» recensione su Fattiitaliani.