Mi diressi a passo spedito verso una località fuori delle porte cittadine, una piccola altura sulla quale si trovava una sorta di giardino dove erano le tombe di tutti i combattenti uccisi dai soldati nel 1848, nella lotta per la libertà.
Per quale motivo sembravamo essere dalla parte del torto, quei morti e io? La colpa non era certo nostra, ma del nostro nemico comune, il dispotismo, nello Stato e nella famiglia. Mi rendevo conto sempre di più che questi due tiranni coincidono e provengono dalla stessa matrice, l’eterno atteggiamento paternalista nei confronti sia degli individui che dei popoli: fede imposta, doveri imposti, amore imposto. Al singolo bisognerebbe invece dire: «Scegli tu, secondo il tuo discernimento, le tue convinzioni, i tuoi doveri, le tue inclinazioni». E ai popoli: «Siate liberi di esprimere le vostre proteste, le vostre esigenze». È dunque così difficile capire che la libertà è la più forte delle leggi? Se si insegnasse ai bambini e si abituassero i popoli a comprendere questo concetto, il compito della civiltà sarebbe già compiuto.