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  • Era la notte di San Nicola, l’ora del crepuscolo, quando ebbi l’incarico di diventare assassino. In un attimo, seppure in una palpitante incoscienza, accettai. A spingermi fu una voce maschile e sicura, proveniente dall’aria, dall’etere infinito, nessun demonio, nessun dio, bensì uno speaker del notiziario. Come su una seconda traccia acustica, mi sussurrò all’orecchio l’invito

    a uccidere R., l’assassino. Fu una voce della RIAS, la radio del settore americano, proprio il giorno di San Nicola: capisco tutti coloro che riterranno me, o colui che ero allora, un pazzo per il fatto di confessare oggi un tentativo d’omicidio avvenuto anni e anni fa. Nessuno conosce il mio segreto, la polizia non ha avuto alcun sentore del mio celato impulso

    criminale, e neanche i miei migliori amici, e – poiché mi considerano una persona tranquilla e pacifica – il mio silenzio sul tema dell’omicidio e della violenza non ha mai destato alcun sospetto. Ora posso parlare, è giunto il momento di confessare. A poco a poco cresce la voglia di gettarmi nel tunnel degli orrori del mio ricordo e scendere nel piccolo appartamento al

    seminterrato, dove uno studente accende la radio, alimenta la stufa di maiolica con pezzetti di carbone a forma di uovo, mette a bollire l’acqua per il caffè solubile e non riesce a resistere al profumo dei biscotti di panpepato che viene dal pacchetto spedito dalla madre. Poiché nessuno si convincerà tanto presto che sono un assassino, devo ricominciare da capo,

    e anche la stufa e i dolci appartengono alla catena d’indizi del mio narrare. Fino a che non sarò in grado di escludere l’eventualità che siano stati i biscotti di panpepato a stimolare la mia brama di uccidere, non potrò tralasciarli, nella mia confessione scritta. Condurrò io stesso il mio interrogatorio. È questo il brutto di quando non ti scoprono. Come nel miglior

    romanzo criminale, i motivi, le circostanze e i dettagli del reato verranno svelati soltanto a poco a poco. Arrivavano le notizie, le solite frasi nel solito tedesco da notiziario, io non ascoltavo con attenzione, colmo della stanca negligenza di un grigio e piovoso dicembre. La stanza era ancora fresca, una stufa di maiolica ha bisogno di tempo, mi lasciai riscaldare

    dalla voce dello speaker, dal basso familiare che, ogni ora, regolarmente, si elevava a voce del mondo libero. I biscotti di panpepato erano duri, poveri di dolcezza. Prima di spegnere, attesi le previsioni del tempo, e poi un po’ di Mozart, e Beethoven. Come tutte le emittenti di Berlino, anche l’americana RIAS non era immune dalla propaganda, però aveva i migliori

    speaker: voci suggestive, dal vibrato profondo, virili, protettive e decise come la stessa forza di difesa. Io ascoltai più la marcata modulazione del basso che non le ultime notizie, fino a che non arrivò, come scagliato nell’aria, un annuncio: la Corte d’assise del tribunale di Berlino ha assolto l’ex giudice del Tribunale del popolo Hans-Joachim Rehse dall’accusa di aver commesso

    sette omicidi. Quella notizia non aveva nulla di sensazionale, nulla di inatteso, neanche allora. Qualsiasi altra sentenza sarebbe stata sorprendente. Gli uomini di legge non condannano altri uomini di legge, anche se hanno emesso più di duecento condanne a morte, è impossibile. Un cliché che si conferma e, comunque, dietro questa notizia ce n’era in agguato

    un’altra, sussurrata. Con un immaginario terzo orecchio, nel labirinto dell’orecchio interno, dove rimangono sospese le contraddizioni sentii nelle sillabe provenienti dall’etere le vibrazioni di un messaggio segreto, un ordine chiaro: una persona lascerà il segno in questa storia e ucciderà l’assassino, questa persona sarai tu! No, non avevo bevuto, non ero

    sotto l’effetto di droghe, non ero appena uscito, barcollante, dal letto di una delle mie fidanzate. Ero perfettamente sobrio, solo un po’ stanco, quando mi colpì quella frase: una persona lascerà il segno in questa storia e ucciderà l’assassino, questa persona sarai tu! Lo speaker annunciò il tempo del fine settimana, mentre la mia fantasia si catapultava in avanti: io con la pistola,

    uno sparo, un uomo cade a terra. È così semplice, la logica continuazione delle notizie. Non mi avrebbe stupito sentire dalla radio quel seguito importante: abbiamo appena appreso che uno studente berlinese ha preso la decisione di uccidere il giudice R. Stai scherzando! Proprio tu! Scordatelo! Così cercai di fermare quella mia fantasia. Non era neanche comica, ma ridicola,

    stupida, e non meritava nemmeno mezzo pensiero. Basta! Del resto, io non avevo neanche il coraggio di prendere in mano una pietra dal selciato, figurarsi se potevo essere in grado di tirarla. Io il carnefice, l’assassino, un’immagine a dir poco temeraria, impossibile, folle, da picchiati. Tuttavia brillava proprio per la sua assurdità, penso oggi, e accese quella sensibile

    fantasia che subito mi fornì le immagini giuste: sono appoggiato all’ingresso di casa, sulla Witzlebenstrasse, davanti alla Corte d’appello. Io sono il protagonista e attendo il giudice omicida. Non passa molto tempo che lui arriva, è un uomo anziano e anonimo, esce dal portone, scende i pochi gradini e corre verso la sua auto, dove io, dopo aver velocemente mirato

    l’obiettivo, lo stendo con tre colpi, per poi dileguarmi, a passo tranquillo, in direzione del Lietzensee. Tutti mi riconoscono ma nessuno ostacola il mio incedere consapevole e fiero: giovane, età compresa tra i 20 e i 25 anni, altezza 180 cm circa, slanciato, biondo, giacca a vento blu scuro e blue jeans – alla fine le sirene del Kaiserdamm annunciano il mio arresto e

    la pellicola del film si strappa. Un cortometraggio semplice: la canaglia, un ragazzo, uno sparo. Era un filmetto da due soldi, certo, però sentii subito che mi stimolava: era la gioia di poter essere, per qualche minuto, un eroe, il vendicatore dei giusti. Era troppo tardi, e non avevo scelta. Perché, ad aggravare la situazione, tutto ciò successe nel millenovecentosessantotto.

    Il mio anno da assassino

Il mio anno da assassino

traduzione di Giovanni Giri

Collana: Dissensi

Pagine: 300

ISBN: 9788887583755

Disponibilità: Buona

Prezzo: 16.50 

Quasi trent’anni di storia della Germania rivivono in maniera brillante, estremamente avvincente, divertente e spesso commovente

Lei dovrebbe odiarla, questa banda, ma non ci riesce, lei non è capace di odiare. Neanche Georg è capace di odiare. Lei vuole che questo odio cessi. Una vita senza odio. L’amore negli uomini, diceva Georg, è proibito di questi tempi. Anneliese è triste, triste anche per i giovani ragazzi che vede davanti a sé. In quelle teste rasate c’è la mano della morte. Prima che tutto finirà, almeno la metà di questi soldati che si divertono per le prese in giro di Freisler e si battono la mano sulle cosce, alla fine saranno sotto terra, giaceranno nella neve o nel fango, divorati dai lupi e dai cani. Non sapranno mai la verità vera: Georg, Robert, Paul e Herbert volevano salvare la vita anche a loro.

«La notte di San Nicola, all’imbrunire, ho ricevuto l’ordine di diventare assassino». Così inizia questo romanzo secco, intelligente e penetrante, che affronta argomenti scottanti come colpa, vendetta, giustizia, vita e morte.

Il narratore è uno studente di Berlino, la vittima designata un ex giudice nazionalsocialista, assolto, nella Repubblica federale tedesca, dall’accusa di crimini di guerra dopo aver condannato a morte Georg Groscurth, l’ex medico personale di Rudolf Hess, diventato membro della resistenza.

Per la scrittura di questo romanzo – gremito di riferimenti e di personaggi storici realmente esistiti, a cominciare dal giudice che deve essere assassinato o dal medico di Hess – Delius attinge alla vera storia della vedova di Groscurth e alla sua lotta trentennale per ottenere giustizia.

La donna subirà, nel nuovo regime liberaldemocratico, ingiurie quasi peggiori di quelle subite durante il nazionalsocialismo: le sarà imputato di essere comunista, sarà accusata di volere il rispetto delle norme costituzionali, sarà licenziata. E, infine, sarà privata dello status di vedova di un perseguitato politico.

Il grande merito di questo romanzo è quello di far rivivere il ricordo del dopoguerra, che Delius definisce «l’età della pietra della democrazia».

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Recensioni

• «… non vi si smentisce la poetica di Delius, il quale fruga nel passato per parlare al presente e interrogarlo, ligio alla verità dei documenti fino ad autocastigarsi e a vestire i panni del diarista o di un oscuro annalista: lo sanno da sempre i lettori di un autore notevole la cui bibliografia, in Italia, si riduce purtroppo a due titoli… » (Massimo Raffaeli, Alias)