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  • Ho incontrato Emma per la prima volta nel padiglione di fronte al fiume. Per molto tempo, aveva avuto parole solo per descrivere il blu intenso che abbraccia costantemente un lembo di terra abbandonato in mezzo all’oceano, là dove i suoi occhi si erano aperti sul mondo. Il dottor Ian MacLeod, che aveva richiesto i miei servizi come interprete, aveva tenuto ad avvertirmi: «È complicato,

    la paziente capisce benissimo il francese e si esprime perfettamente in quella lingua». Aveva parlato, credo, con accento leggermente irritato. — Perché le ci vuole un interprete allora? — avevo chiesto al medico, senza nascondere la mia sorpresa. Mi aveva guardato con profonda attenzione e aveva soppesato con cura ognuna delle parole da

    pronunciare. — Semplicemente perché rifiuta di parlarci in una lingua diversa dalla sua lingua materna. Quindi, l’assistenza che le chiedo per questo caso va oltre la semplice traduzione di frasi. Sono già due mesi che tento di abbozzare una diagnosi o, meglio, di penetrare il suo mistero. Aveva fatto girare la sedia e alzato le braccia per raggiungere una cartella

    appoggiata sullo scaffale. Ne aveva tirato fuori qualche foglietto cui aveva dato un’occhiata con aria delusa. — È tutto ciò che ho potuto notare — aveva mormorato agitando i fogli. — Parla solo del blu: il blu del cielo, il blu del mare, il blu della pelle nera, e della follia che sarebbe arrivata nelle fiancate delle navi negriere. Solo questo sono riuscito a spigolare dai suoi lunghi monologhi — aveva

    aggiunto, tendendomi i foglietti. — Parole colte al volo, come briciole cadute dal becco di un uccello in fuga. Così non andremo molto lontano. Aveva lasciato il suo posto e percorreva la stanza a grandi passi, continuando a parlare. — Perché succede che dimentica, ovviamente. Dimentica la sua scommessa e passa improvvisamente al francese, con una lingua

    chiara, addirittura castigata, direi. Eppure, appena se ne rende conto, si richiude subito, e non si ottiene più nulla da lei. A questo stadio — rifletteva ad alta voce — sarebbe importante poter capire il rifiuto ostinato che oppone all’uso del francese. Forse sbaglio, ma... mi chiedo se una delle chiavi del mistero non sia quella. Parla, parla soltanto, senza mai rispondere alle domande.

    Il colmo è che si arrabbia se la si interrompe per chiederle qualche dettaglio. Due mesi d’osservazione — ripeteva, rigirando una penna tra le mani diafane con un gesto meccanico che denotava la sua impazienza. Aveva alzato verso di me il volto cosparso di macchie brune, forse aspettandosi una risposta immediata. Ben oltre i cinquanta, il dottor MacLeod era un

    tracagnotto dai tratti sfuggenti. Cortese, si rivolgeva alla gente con una sorta di calma che conferiva al suo viso l’immobilità fredda della pietra. Ma i suoi gesti lenti, la sua esteriorità distante, nascondevano una forte passione e un’impetuosità non comune nell’esercizio della professione. — Capisce — diceva con la voce agitata da un lieve tremolio e col viso

    leggermente contratto — la mia diagnosi sarà senz’altro determinante durante il processo! Il medico si era fermato, lui stesso stupito da quegli accenti appassionati che sembravano prenderlo alla sprovvista. Poi, portando su di me gli occhi penetranti, aveva assunto un tono che si voleva più calmo: — Faccio affidamento su di lei, Flore. Posso solo fare

    affidamento su di lei — aveva aggiunto come se gli rincrescesse, prima di prendere il corridoio che portava alle camere delle pazienti. Lungo il corridoio si allineano due file di porte che disegnano grandi quadrati bianchi sui muri di un verde lugubre. Quel verde troppo spento mi fa girare la testa, come sotto l’effetto di un sedativo. Avrei voluto avere un po’ di tempo per cercare

    di capire, riflettere un po’ prima di incontrare Emma. Ma l’impazienza del dottor MacLeod trionfa. Lo seguo. Nella pancia, la mia tensione si traduce in un rumore di pietre che rotolano. Non c’è più tempo di esitare. A grandi falcate, il medico attraversa il corridoio, lasciando una fresca scia muschiata. Davanti al numero 122, si ferma e batte tre colpetti secchi, poi apre a metà la

    porta e scivola nella stanza. Entro dietro di lui. Si trova in piedi, con le spalle alla finestra, il busto leggermente piegato in avanti e ci fissa entrambi con uno sguardo da errante. Con Emma, la natura si è data a quegli eccessi insoliti di cui lei sola ha il segreto. I risultati sono stupefacenti: un miscuglio eteroclito di nobiltà, disperazione muta, umiltà e arroganza. Tutto ciò

    imprigionato in un corpo longilineo e in un viso stretto, un viso nero, dalla pelle satinata, quasi blu, un viso chiuso come un pugno, nel quale gli occhi girano come due biglie smarrite. Nel silenzio della camera, la voce del dottor MacLeod sembra sbattere contro i muri, contro i montanti di metallo del letto, contro i vetri spessi delle finestre. Il medico spiega, tenta di esporre

    con chiarezza e precisione il motivo della mia presenza. La sua voce si scontra col viso chiuso di Emma. Impassibile, ascolta inizialmente senza dire nulla. Poi, poco a poco, il suo sguardo si trasforma, e io e il dottor MacLeod vi leggiamo un rifiuto, che in seguito si indurisce. Di colpo, dardeggia su di me il fuoco delle sue pupille, mi squadra, mi soppesa, mi osserva dai piedi alla testa,

    mentre un calore intenso mi sale dal ventre al viso. Apro la bocca, e sento pesare dentro di me tutte le parole avviluppate di pudore, paura e imbarazzo che avrei potuto dirle. Apro la bocca, e non dico nulla. Con lo sguardo, mi interroga: «Da dove esci, tu? Senz’altro ti credi utile a qualcosa nella vita?», sembra chiedermi. In un attimo, il medico si avvicina una sedia, si sistema e si

    mette a scribacchiare in un quaderno. Il va e vieni della penna sulla carta produce un rumore strano, simile al crepitio di un insetto preso in trappola. E di colpo mi viene l’idea che l’anima di Emma si trovi allo stesso modo prigioniera della follia che si è impadronita del suo corpo. All’improvviso ci volta le spalle. Rivolta alla finestra, appoggia la fronte stretta e lascia vagare gli occhi feroci

    sugli alberi nel parco, li riporta verso destra sul fiume che, lontano, agita le proprie acque brunastre. Poi torna a noi, viene verso una poltrona sulla quale si affloscia, col corpo stanco, come se avesse appena percorso una lunga distanza. — Ti sei portato i rinforzi, dottorino? — dice rivolta al medico. La sua voce, come un grido, anche se il tono è basso. La sua voce, un urlo, ma lei non

    urla. Luce cruda, voce di una mendicante che implora, domanda e perseguita. Così mi giunge la voce di Emma che già mi taglia nel vivo la carne, mentre i suoi occhi frugano dentro di me per riempirmi della sua disperazione. Io, l’interprete, sono di colpo muta. Come tradurre lo sguardo e la voce di Emma? Il dottor MacLeod ha capito. Mette fine al mio tormento quando si alza e

    annuncia: — Ecco, Emma. Oggi, volevo solo presentarle Flore. Non possiamo esigere che si esprima in una lingua che rifiuta. Con Flore, faremo gioco di squadra. Con la sua preziosa collaborazione finalmente andremo avanti. Cerchiamo di salutarla per prendere congedo. Bisogna darle la mano, sorriderle, non lo so. Vorrei lasciare la stanza camminando

    all’indietro, per non sentirmi sulla schiena il suo sguardo randagio. La porta si richiude con un tonfo soffocato. Nella mia testa, la voce di Emma ronza come un insetto prigioniero dietro a un vetro.

    Il libro di Emma

Il libro di Emma

Collana: Dissensi

Pagine: 124

ISBN: 9788887583670

Disponibilità: Ottima

Prezzo: 13.00 

Non sono più una semplice interprete. Poco a poco abbandono il mio ruolo, divento una parte di Emma, sposo il suo destino.

Inno sofferto all’emancipazione femminile, il libro narra l’incontro tra una donna haitiana ricoverata in un manicomio criminale di Montreal (con l’accusa di aver ucciso la figlioletta) e la sua interprete Flore, chiamata a svolgere un ruolo insolito, poiché la paziente capisce e parla perfettamente il francese. Aiutando il medico a sondare l’universo di Emma, Flore verrà profondamente coinvolta nella sua vicenda umana, recuperando le proprie radici di donna e di haitiana. Sempre in bilico tra delirio e lucidità, Emma rievoca la sua vita passata tra un’infanzia difficile ad Haiti, dove è stata ripudiata dalla madre, e il Canada, dove tenta senza successo di riscattarsi. La sua storia individuale però non è isolata e si inscrive in quella delle sue antenate, schiave nelle piantagioni haitiane. Attraverso le narrazioni grandiose e terribili di Emma, le due donne si avvicineranno emotivamente fin quasi a identificarsi.

Marie-Célie Agnant è nata ad Haiti e vive dal 1970 nel Quebec, dove ha insegnato francese e lavorato come traduttrice prima di raggiungere la celebrità come autrice di romanzi. Da sempre impegnata nel sociale, nella sua scrittura emerge l’interesse per temi «forti» come il razzismo, la condizione femminile, l’emarginazione. Ormai scrittrice a tempo pieno, ha pubblicato anche opere destinate ai ragazzi. Il libro di Emma è la sua prima opera tradotta in italiano.

Paola Ghinelli si è specializzata in Letterature caraibiche all’Università di Bologna, alla Sorbona di Parigi e all’Università delle Antille-Guyana. A Montreal ha pubblicato una raccolta di interviste a scrittori di origine caraibica, tra cui Marie-Célie Agnant.

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Recensioni

«… non è un semplice romanzo. È un canto di collera e di disperazione, un blues degno di Billie Holiday, insieme languido e violento, astioso e malinconico, un poema-diamante» – La Presse

Il libro di Emma recensito su girodelmomdoattraversolibri.wordpress