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  • IL VIALE DEI SALICI

    Jasper Holt estrasse una lastra di vetro dal cassetto della scrivania. Stese su di essa un foglio di carta e vi scrisse, “è ora che tutti gli uomini buoni vengano in aiuto dei loro simili”. Esaminò la sua calligrafia tondeggiante e riscrisse la stessa frase in una grafia minuta e precisa che assomigliava a quella di un vecchio studioso. Ricopiò le parole per dieci

    volte in quella grafia bugiarda. Strappò il foglio, ne bruciò i frammenti nel grande posacenere per poi lavarne le tracce nel lavabo. Rimise la lastra di vetro nel cassetto, soddisfatto. Il vetro non avrebbe lasciato nessuna impronta sulla scrivania. Jasper Holt aveva un aspetto signorile quasi quanto quello della sua camera da letto che, con

    quelle sedie ricche di fronzoli e cuscini dipinti con viole del pensiero, era considerata l’alloggio migliore nell’aristocratica pensione della signora Lyons. Era un uomo di trentotto anni, magro, leggermente calvo e dai pochi capelli neri. Indossava un vestito semplice fatto di flanella grigia con un garofano bianco all’occhiello. Le mani si presentavano

    estremamente robuste e agili. Dall’aspetto poteva sembrare un giovane avvocato oppure un agente di borsa. In realtà, Jasper era operatore di sportello presso la banca Lumber National nella città di Vernon. Controllò l’ora su un orologio d’oro, sottile e costoso. Erano le sei e mezza di mercoledì, quasi il tramonto di una tranquilla giornata di primavera.

    Prese il bastone ricurvo da passeggio, i guanti di seta grigia, e si diresse al piano di sotto. Al pian terreno incontrò la proprietaria della pensione e la salutò con un cenno del capo. La donna parlò del tempo con fare affettuoso. «Non rientro per cena» disse l’uomo, in tono cordiale. «Benissimo, signor Holt. Ma, è sempre in giro con

    quei suoi amici tanto simpatici, vero? Ho saputo, leggendolo sul giornale, che sarà di nuovo il protagonista in una delle commedie presso il teatro comunale. Se non fosse diventato impiegato di banca, avrebbe sicuramente fatto l’attore, signor Holt». «No, temo di non essere portato per la recitazione». La sua voce era cordiale, il sorriso invece era

    una mera contrazione meccanica dei muscoli labiali. «È lei signora ad avere presenza scenica. Potrebbe diventare un’altra Ethel Barrymore se non dovesse prendersi cura di noi». «Mio Dio, ma così mi lusinga!». La salutò con un inchino e s’incamminò lungo la strada, dirigendosi verso un’autorimessa pubblica.

    Fece un cenno col capo al guardiano di turno e, senza proferire parola, mise in moto la sua spider, uscì dal garage e si diresse verso la zona periferica di Rosebank, allontanandosi dal centro di Vernon. Non andò, però, direttamente a Rosebank. Si allontanò di sette isolati fermandosi in Fandall Avenue – una di quelle strade che con i cinematografi, le

    drogherie e le lavanderie, con le imprese di pompe funebri e le tavole calde fanno da centro ai quartieri più poveri. Scese dall’auto, fingendo di controllare le gomme, picchiettandole col piede per assicurarsi che fossero gonfie. Nel mentre, guardava furtivamente da una parte e dall’altra della strada. Non vide nessuno che conoscesse.

    A quel punto entrò nella pasticceria Partenone. La specialità della pasticceria erano delle curiose scatole di caramelle che assomigliavano moltissimo a libri rilegati. Il retro della scatola era in similpelle, con un timbro che ricordava il titolo di un libro. Lo spessore sembrava invece formato da un certo numero di pagine. In realtà, le pagine non c’erano affatto e il cofanetto era riempito

    di dolciumi. Jasper scrutò l’assortimento delle scatole-libro e ne scelse due i cui titoli sembravano decenti – Dolcetti per l’amata e La delizia delle signore. Disse al commesso greco di riempirle coi cioccolatini più economici e di incartarle. Uscì dalla pasticceria e si diresse verso un emporio che proponeva una discreta varietà di romanzi, e

    tra questi ne scelse due dai titoli sentimentali, come quelli stampati sulle scatole-libro. Se li fece incartare. Uscì dall’emporio, s’infilò in una tavola calda, ordinò al banco lurido un panino con insalata, ciambelle e una tazza di caffè, si spostò su un tavolo nella zona più in penombra della sala e li divorò in tutta fretta. Quando ritornò alla macchina, diede di nuovo un’occhiata

    furtiva alla strada. Gli sembrò di riconoscere un uomo che si stava avvicinando. Però non ne era sicuro. Dal busto in su, la persona pareva avere un aspetto familiare, proprio come i clienti della banca che egli vedeva attraverso lo sportello della cassa. Quando li incontrava per strada, non sempre li metteva a fuoco. Pareva impossibile che quelle persone, che per lui altro non erano

    che facce con braccia attaccate che stringevano assegni e ritiravano denaro, potessero camminare, addirittura avere gambe e una propria andatura e portamento. Si avvicinò al marciapiede e scrutò il cornicione di uno degli edifici, arricciando le labbra, emulando un uomo intento a ispezionare un immobile. Con la coda dell’occhio seguiva quella figura

    che si avvicinava. Quando l’uomo gli fu accanto chinò la testa e lo salutò: «Salve, amico bancario». Jasper sembrò spaventato; d’un tratto lo riconobbe e disse: «Ehi, come stai?»; poi aggiunse sottovoce: «Mi sto occupando di una piccola proprietà per la banca». «Pensi sempre al lavoro, eh?». L’uomo si allontanò. Jasper tornò alla macchina

    e si diresse verso la strada che lo avrebbe portato nella zona periferica di Rosebank. Mentre si allontanava dalla Fandall Avenue, guardò l’ora. Mancavano cinque minuti alle sette. Alle sette e un quarto attraversò l’arteria principale di Rosebank, svoltando in una stradina che negli anni aveva conservato l’aspetto di un viottolo

    di campagna. Il sentiero era costeggiato da poche case costruite con materiali scadenti e dalla facciata lentigginosa, ma era in larga parte un tratto che passava attraverso pantani circondati da boschetti di salici, con il terreno spugnoso coperto di foglie secche e pezzi di corteccia. Dalla stradicciola si apriva una viuzza privata ricoperta d’erba e piena di buche che scompariva

    in uno dei boschetti di salici. Jasper guidò l’auto attraverso i pilastri che segnavano l’ingresso di quella stradina privata così malridotta. Fece una curva brusca, giunse nei pressi di un capanno grezzo dove parcheggiò la macchina senza rallentare, tanto che per poco non urtò il retro della struttura coi parafanghi anteriori. Spense il motore, scese in tutta fretta e tornò di corsa

    verso il cancello d’ingresso. Nascosto tra i cespugli degli ontani, sbirciò fuori. Due donne intente a chiacchierare percorrevano la strada pubblica. Guardarono all’interno del cancello d’ingresso della stradina e rallentarono. «È proprio qui che vive quell’eremita» disse una di loro. «Intendi quell’uomo che sta scrivendo un libro

    religioso e che non esce mai prima di sera? Una specie di predicatore?». «Esatto, proprio lui. Mi pare si chiami John Holt. Un tipo un po’ matto. Vive nella vecchia casa Beaudette. Ma non la si può vedere da qui – bisogna attraversare l’isolato per scorgerla, nella strada successiva». «Si dice sia matto. Ma ho appena notato un’automobile svoltare proprio qui dentro».

    «Sì, sarà il cugino o il fratello, o qualche altro parente – vive in città. Dicono sia ricco e un uomo molto raffinato». Le due donne si allontanarono e le loro voci man mano svanirono. Ancora dietro gli ontani, Jasper si strofinò le mani chiaramente agitate. Il sorriso sembrò un ghigno. Ritornò al capanno e s’incamminò lungo un viale lastricato di mattoni,

    costeggiato e riparato dai salici che cadevano a strapiombo. Un tempo era stata una stradina incantevole con panche di legno intagliato disposte lungo il percorso che si diramava fino a un giardino roccioso, con una fontana e una panca di pietra. Del giardino non restava che un groviglio di piante rampicanti che svettavano tra le pietre;

    la fontana aveva perso la vernice e i cupidi e le naiadi in ferro erano ormai pieni di ruggine. I mattoni del viale erano coperti di licheni e muschio, di foglie secche e terra incrostata. Molti dei mattoni erano rotti perciò il viale si presentava del tutto irregolare. Dai salici, così come anche dai mattoni e dalla terra incrostata,

    esalava un freddo umido. Ma Jasper non sembrò accorgersene. Si affrettò lungo il viale verso l’abitazione interamente costruita in pietra che, per la regione centro-occidentale in cui si trovava, sembrava essere abbastanza antica. Era stata costruita da un commerciante di pellicce francese nel 1839.

    Gli indiani Chippewa avevano scotennato un uomo nel suo cortile. La pesante porta sul retro presentava una serratura moderna e costosa. Jasper la aprì con una chiave piatta e la richiuse dietro di sé. Aveva una chiusura a scatto. Si trovò in cucina al buio, le tendine abbassate. Attraversò la cucina e la sala da pranzo e arrivò nel soggiorno.

    Evitando le sedie e i tavoli, si mosse nell’oscurità con sicurezza per raggiungere le tre finestre della stanza e assicurarsi che le tendine fossero abbassate, prima di accendere la lampada sul tavolo pieghevole. Appena la luce inondò le pareti scure Jasper mosse la testa soddisfatto. Nulla era stato toccato dalla sua ultima visita. La stanza era intrisa dell’odore

    della vecchia tappezzeria verde e dei libri in pelle. Erano mesi che non veniva spolverata. La polvere ricopriva le rigide sedie di velluto rosso, lo scomodo divano, il camino di freddo marmo bianco, l’immensa libreria con la facciata in vetro che occupava un lato della stanza. A Jasper Holt, abile uomo d’affari, quell’atmosfera apparve assai artefatta.

    La cosa però non sembrava infastidirlo. Eliminò con fare svelto gli incarti sia dai libri che dalle scatole dei dolciumi. Sistemò uno dei fogli sul tavolo e lo lisciò con le mani. Svuotò su di esso le caramelle delle due scatole e gettò il foglio restante nel camino assieme agli spaghi che presero fuoco all’istante.

    Si spostò verso la libreria e aprì lo sportello del ripiano più basso dove sistemò sia i libri che le scatole a forma di libri. Il ripiano custodiva una fila di romanzi da quattro soldi e di questi almeno sei erano in realtà delle scatole di caramelle come quelle che aveva comprato quella sera stessa. Solo un ripiano della libreria conteneva romanzi, testi frivoli.

    Gli altri invece erano pieni zeppi di tetri saggi di storia, di teologia, di biografie, tutti volumi con la copertina scura e le pagine macchiate – quel genere di libri trasandati ma di qualità, dal valore di quindici centesimi che si trovano presso le botteghe di libri usati. Jasper li esaminò per qualche istante, come se volesse memorizzarne i titoli. Prese la Vita del Rev. Jeremiah Bodfish

    e lesse ad alta voce: «Nelle conversazioni che egli teneva con la famiglia dopo le preghiere serali, una volta ho udito il fratello Bodfish definire Filone di Alessandria – la cui carriera accademica mi richiama sempre alla mente le allusioni di Melantone sull’essenza del razionalismo – un semplice sofista...». Jasper chiuse il libro di scatto, osservando soddisfatto:

    «Bene. Filone di Alessandria – un bel nome per cominciare». Richiuse lo sportello della libreria e salì al piano di sopra. Nella piccola camera da letto a destra del corridoio era accesa una lampada elettrica. La casa probabilmente era stata deserta prima dell’arrivo di Jasper, ma i malintenzionati avrebbero creduto

    che ci fosse qualcuno intravedendo quella luce sempre accesa. La camera da letto aveva un aspetto spartano – un letto di ferro, un’unica sedia, un lavabo, un pesante comò di quercia. Jasper si affrettò ad aprire l’ultimo cassetto in basso, ci riuscì con uno strattone, tirò fuori un vestito nero

    stropicciato e consunto, un paio di scarpe nere, un papillon nero, un colletto alla Gladstone, una camicia bianca con il petto inamidato, un cappello di feltro e una parrucca – una costosa e stupenda parrucca volutamente fatta di capelli spettinati di un marrone sbiadito.

    Il gatto delle stelle. Il viale dei salici. La ronda fantasma

Il gatto delle stelle. Il viale dei salici. La ronda fantasma

Introduzione di Piergiorgio Pulixi. Collana diretta da Alessio Bottone

Pubblicazione: 30 giugno 2023

Collana: Elitropia

Pagine: 144

ISBN: 9788896350980

Disponibilità: Ottima

Prezzo: 14.00 

John si recò direttamente alla prigione di Stato. Entrò nell’ufficio del guardiano e disse: «Ho rubato tanti soldi, ma non riesco a provarlo».

L’ironia, la lucidità nel rappresentare il reale, l’onestà nell’esprimere i sentimenti, anche i più abietti. Sono armi pericolose nelle mani di uno scrittore. Sinclair Lewis sceglie di usare la penna come fioretto e non manganello. Il suo stile, tuttavia, non impedisce al fendente di mettere a segno il colpo. Infligge stoccate alle verità imposte. Assalta le sensibilità intorpidite. Va dritto alla coscienza del lettore, lacerando nel profondo certezze condivise, scontate, noiosamente e meccanicamente perpetuate. Il caso e l’apparenza sono i fili che uniscono le trame delle tre novelle dell’autore americano, che non fu scrittore puro di noir o gialli, ma che in testi come questi si confrontò felicemente con il genere. Si passa dalla carezza ipocrita a un gatto, che innesca una catena catastrofica di eventi, al racconto di un crimine quasi perfetto, a una storia d’amore impastata di suspense. Grottesco, umorismo, melodramma sociale si leggono tra le righe di una scrittura asciutta, brillante, piacevole e amara come un sorso di birra. Ed è nella tensione degli intrecci, nella complessità di personaggi e contesti che Pulixi riconosce il “visionario” Lewis e detta la direzione per andare al cuore della sua narrativa.

Le novelle sono state pubblicate tra il 1917 e il 1919. Solo The Willow Walk («The Saturday Evening Post», 1918), è apparso in lingua italiana nel 1940 grazie alla traduzione di Emilio Ceretti per Arnoldo Mondadori – poi ripresa in un’edizione successiva del 1962
– e in un volume Utet del 1971 ripubblicato nel 1979, per la collana “Scrittori del mondo: i Nobel”. The Ghost Patrol («The Red Book Magazine», 1917) e The Cat of the Stars («The Saturday Evening Post», 1919), finora non avevano mai conosciuto traduzione italiana.

Piergiorgio Pulixi, autore dell’introduzione, è una delle voci più rappresentative nel panorama noir e thriller italiano, vincitore del premio Scerbanenco nel 2019. I suoi libri sono tradotti in varie lingue e in diversi Paesi europei. Nato a Cagliari nel 1982, vive a Milano. Il suo romanzo più recente è La libreria dei gatti neri (Marsilio, 2023).

La traduttrice Debora A. Sarnelli è assegnista di ricerca presso il dipartimento di Studi umanistici dell’Università di Salerno, dove ha conseguito un dottorato di ricerca in letteratura inglese. I suoi studi si concentrano sulla letteratura popolare, in particolare sul romanzo sensazionale vittoriano e la narrativa poliziesca nel periodo tra le due guerre. Sugli stessi temi ha pubblicato saggi e articoli per varie riviste nazionali e internazionali.

 

Libro pubblicato con il contributo della Regione Campania.

Recensioni

“Emerge, fortissimo, il biasimo contro l’omologazione dell’americano contemporaneo, così come la sentita preghiera di prendere in mano il proprio destino per sottrarsi alla prigione del conformismo e ai diktat del politicamente corretto”. Claudia Sarritzu su Tiscali cultura.

“In questo scrigno ci sono tre piccole gemme… Lewis dimostra straordinaria modernità, capace di raccontare l’altro volto dell’America e del sogno americano con bruciante ironia, senza elevarsi al ruolo di censore dei costumi, ma fotografare con garbo un mondo a tratti surreale che però porta i connotati e le ferite degli Stati Uniti di inizio secolo, come dei nostri giorni” Maurizio Zottarelli su Libero.

 

 

 

 

 

 

 

 

Segnalazione de “Il gatto delle stelle” su “Intimità” da parte di Giorgia Cozza.

“Il gatto delle stelle” tra i libri da leggere sotto l’ombrellone consigliati da Dress Code