“Come ci si sente? … Come ci si sente a essere liberi? Continuavano a salire, salire, avrebbero potuto non fermarsi mai. Blair chiuse gli occhi e lasciò cadere la testa all’indietro, cedendo alla terribile assenza di peso. È come morire, voleva rispondere, come la morte, è come quanto ti sentiresti afflitto e completamente perso se tutto quello che hai di prezioso svanisse. Quell’angoscia estrema che ciascuno conserva per la fine, Blair la stava consumando ora, bruciando tutte le sue riserve mentre l’elicottero lo portava lontano”.
Otto brillanti, coinvolgenti e amari viaggi nella realtà di alcuni paesi del Terzo mondo e non solo, in cui i personaggi – come nuovi Che Guevara – vivono e sperimentano gli effetti negativi del capitalismo, cercando di porre un freno a sofferenza e ingiustizie.
I Fugaci incontri con Che Guevara sono storie di ribellione e rassegnazione, che diventano anche un mezzo per rappresentare la complessità della natura umana e le sue sfumature e che, tuttavia, potranno concludersi soltanto con altre azioni moralmente discutibili. Il lettore si ritroverà letteralmente catapultato in diverse realtà esotiche grazie alla sorprendente attenzione al dettaglio e allo stile preciso e accattivante di Ben Fountain.
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Volatili semi-estinti della Cordigliera Centrale
Assolutamente no ribadiva Blair in risposta a chiunque lo interrogasse, nessuna banda di ribelli estorsori che si rispetti avrebbe mai voluto rapirlo. Lui era il più povero dei poveri, più misero persino dei miserabili campesinos che riducevano le colline a cumuli di scorie inutili – John Blair, ricercatore universitario schiavizzato e aspirante al dottorato, la cui idea di un sacco di soldi
corrispondeva a un biglietto da venti dollari. In caso di guai disponeva di tre lettere di presentazione da parte della Duke University, del von Humboldt Institute e dell’Instituto Geográfico di Bogotá, il cui direttore era notoriamente in contatto con il Movimiento Unido de Revolucionarios de Colombia, il MURC, che controllava una quantità spropositata di zone sulle
cordigliere sud-occidentali. Per tre settimane Blair avrebbe percorso a piedi ciò che rimaneva della foresta amazzonica, per poi far ritorno a Duke e racimolare abbastanza borse di studio da poter trascorrere l’anno successivo nella regione di Huila, dove avrebbe studiato gli effetti della frammentazione dell’habitat sulle specie rare locali di parrocchetto.
Si poteva fare, sarebbe stato fatto, doveva essere fatto. Ancor prima del suo esordio su una rivista scientifica – aveva diciassette anni quando pubblicò, su Auk, Note sull’Allevamento e la Dieta del Parrocchetto Tovi – Blair sapeva che presumibilmente la sua generazione sarebbe stata l’ultima a vedere dozzine di questi esemplari nelle regioni selvagge, una
consapevolezza che alimentò un senso di profonda urgenza in questa sua adolescenziale passione o – come l’avrebbero definita i suoi sconcertati genitori – ossessione per qualsiasi cosa riguardasse i volatili. Avanti tutta e al diavolo la politica; e così fu catturato vicino a Popayán: un manipolo di brutale efficienza in tuta mimetica scaraventò giù dall’autobus
tutto il bestiame e la gente. Blair si rannicchiò nel tentativo di confondersi nel compatto gruppo di indiani, ma a un gringo alto e smilzo come lui con uno zaino enorme non sarebbe valso neppure un turbante in testa. «Tu» disse il comandante in tono impassibile «vieni con noi». Blair iniziò a spiegare che era un ricercatore, e pertanto privo di qualsiasi valore in termini monetari
- aveva sempre fatto affidamento sulle sue formidabili abilità linguistiche per tirarsi fuori da situazioni simili – ma ora uno dei ribelli aveva messo le mani sul suo zaino, rovesciando a terra i taccuini, il binocolo Zeiss-Jena, poi la macchina fotografica Leica con lo zoom 200x. Erano gli oggetti di maggior valore che Blair possedeva, più preziosi persino della
sua automobile. «È una spia» annunciò il ribelle. «No, no» lo corresse educatamente Blair. «Soy ornitólogo. Estudiante». «Sei una spia» affermò il comandante, picchiettando sui taccuini di Blair con la punta del fucile. «Ti dichiaro in arresto in nome del Secretariat». Blair fece per protestare, ma fu colpito piuttosto violentemente allo stomaco, e in quel
momento si rese conto che la sua vita era cambiata. Lo ribattezzarono la merca, la merce, e per i quattro giorni successivi arrancò su e giù per le montagne cibandosi di arepas fredde e sardine e subendo le continue provocazioni dei plotoni d’esecuzione, anche se, in effetti, grazie all’abitudine di fare 120 chilometri di corsa alla settimana, resse meglio rispetto ai dirigenti
petroliferi e agli ingegneri minerari che i ribelli solitamente trascinavano con loro. Il primo giorno si limitò a marciare a testa bassa, tollerando la fatica solo perché doveva, però man mano che la colonna si addentrava tra le montagne, in lui iniziò ad affermarsi la sensazione di un’opportunità, un segnale troppo flebile per essere definito un’idea. Verso est la cordigliera si presentava
riarsa e consunta, devastata da decenni di agricoltura sconsiderata. I pochi, miseri brandelli sopravvissuti di foresta erano avvolti da un silenzio innaturale ma, una volta attraversati i confini della zona controllata dal MURC, la vegetazione si strinse attorno a loro con la compattezza di una grotta. Di notte Blair registrava profondi risucchi e gorgoglii, il motore
dell’enorme impianto idraulico della foresta; al mattino ci si svegliava a suon di strilli della Piha urlatrice, poi gli stormi di specie miste attaccavano con i loro ciarlii, i gro gro e i cri cri in contrappunto che facevano sembrare la foresta un cantiere. Nel corso di tre giorni di cammino, Blair riconobbe con sicurezza quattordici specie tra quelle a rischio di estinzione indicate nelle
liste CITES, oltre che un pappagallo Hapalopsittaca appollaiato su una felce, un esemplare straordinariamente raro, grande quanto un camioncino. Ne rimase strabiliato, e lo comunicò al giovane comandante, il quale gli lanciò una breve occhiata pensierosa. «Sì» rispose il ribelle «l’ecologia è importante per la Rivoluzione. E tu, in quanto studioso» qui fece un
debole sorriso, vagamente ironico «sei in grado di capirlo». Pronunciò un breve discorso sull’ambiente, su come la firmeza revolucionaria avesse bandito da tutte le zone liberate le multinazionali «mafiose» interessate al disboscamento e all’estrazione. Il quarto giorno il convoglio raggiunse il campo base, varcando faticosamente il
perimetro fortificato del MURC sotto una pioggia lurida. Blair fu trascinato dritto all’ufficio Lamentele e Reclami, dove rimase seduto per due ore in un corridoio umido a fissare poster di Lenin e del Che, domandandosi se i ribelli avessero in programma di fucilarlo quel giorno stesso. Quando finalmente lo condussero nell’ufficio principale, le prime parole del comandante Alberto
furono: «Lei non ha l’aria di una spia». Sulla scrivania giacevano diversi oggetti di Blair: binocolo, macchina fotografica, mappe e bussola, taccuini colmi dei minuscoli scarabocchi blairiani. Lungo la parete sedevano sette o forse otto subcomandanti, mentre Alberto, il comandante máximo, studiava Blair con la calma di uno che sta soffiando anelli di fumo. Assomigliava a un Jerry
Garcia ultimo periodo in uniforme, un uomo robusto, con gli occhiali dalla montatura di acciaio, doppie borse sotto gli occhi e un ispido cespuglio di capelli brizzolati. «Non sono una spia» rispose Blair nel suo modo teso e serio. «Sono un ornitologo. Studio gli uccelli». «A ogni modo» proseguì Alberto «se avessero voluto mandare una spia, non avrebbero mandato
qualcuno che assomigliasse a una spia. Quindi il fatto che lei non sembri una spia mi fa pensare che lo sia». Blair rifletté. «E se invece avessi avuto l’aspetto di una spia?». «In quel caso avrei pensato che lei fosse una spia». I subcomandanti iniziarono a sghignazzare come ubriachi che si rotolano nel fango. Così era tutto uno scherzo, si domandò Blair,
o davvero la sua vita era in pericolo? O si trattava forse di entrambe le cose, e quindi probabilmente sarebbe impazzito? «Io sono un ornitologo» ripeté quasi senza fiato «non so più come dirvelo, ma è la verità. Sono venuto per studiare gli uccelli». Alberto contrasse le mascelle, come per masticare, quasi tentasse di mangiarsi la lingua. «Non spetta a me deciderlo, tutti i casi
di spionaggio vanno sottoposti al Secretariat. E anche se lei fosse chi dice di essere, dovrà rimanere con noi finché non verrà predisposto il suo rilascio».
Fugaci incontri con Che Guevara
Fugaci incontri con Che Guevara
traduzione di Silvia Moschettoni
...eccezionale raccolta di racconti... - New York Times Book Review
Recensioni
• «L’autore porta la brillantezza di Green e Le Carré nei racconti di avventure esotiche» (Boston Globe)