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  • Prendete un televisore e lasciatelo spento. Con un po’ d’immaginazione potrete vedere una collina artificiale, di quelle che nascono sui detriti e si arricchiscono con il tempo di elementi naturali. Fiori, piante, insetti. Sullo sfondo s’intravede la città. È un pomeriggio d’aprile scaldato da un sole pieno. Su un fianco della collina, seduto sotto un albero, c’è Carlo Manzini, infermiere

    di professione e musicista dentro. Ha trentatré anni e un viso da ragazzo, non bello ma attraente. Carlo ama il jazz e le donne. Una è accanto a lui. Il loro dialogo è concitato e incomprensibile, ma sembra che i due stiano litigando. Alzando il volume, possiamo entrare nella storia. «Ma che dici? Non sono uno stronzo». «Forse non sei uno stronzo. Forse sei solo un debole,

    un vigliacco...». «Perché devi offendere? Io ti voglio bene, ma non posso darti...». «... quello che vuoi. Sì, sì, la so a memoria la tua lezione. Basta. Sempre le stesse parole, sempre le tue turbe esistenziali...». Ada era inquieta, aggressiva. Carlo giocava in difesa. Difficile spiegare a quella ragazza incontrata solo sei mesi prima che qualcosa era cambiato. Non l’attrazione fisica.

    Ada aveva ventisei anni ed era bella. Capelli castani, lunghi, la bocca che appariva sensuale perfino quando assumeva un tono imbronciato. «Non sono turbe, Ada. È un periodo difficile, forse ho bisogno di stare solo per un po’. Il lavoro...». «Certo, certo. Il lavoro, gli ammalati... Perché non ammetti che hai solo paura? Non vuoi assumerti alcuna responsabilità...».

    Tutte le volte lo stesso epilogo, le stesse parole. Responsabilità, impegno, coraggio. Frasi fatte che non andavano al cuore del problema. Il suo problema stava tutto lì, in quegli occhi illividiti e lucidi che un tempo lo avevano fissato con estatica soggezione. «Guarda, mi fai proprio pena. È stato solo un abbaglio. Ti credevo forte, Carlo. Originale, curioso, appassionato,

    pieno di vita. Invece sei come tanti altri. Non mi va neppure di continuare ad ascoltarti». «Perché non proviamo a restare amici?». Si era affidato a parole di circostanza, perché non sapeva più cosa dire. Ada gli sibilò un congedo stizzito, prima di alzarsi e andarsene via: «Non me ne frega un cazzo di essere tua amica. Da questo momento tu non esisti più». La vide allontanarsi,

    gli occhi tremolanti e vicini al pianto. I rumori del traffico gli arrivavano ora più forti, prepotenti, soverchianti, e lo fecero sentire solo. Ancora una volta. Lui e il suo problema. Un altro innamoramento folgorante cui era subentrato un altrettanto improvviso disincanto. Perché andava sempre così? Partiva con lo slancio di una passione che gli pareva irripetibile e finiva

    per raccogliere insulti. Mai era accaduto che si lasciasse in buoni rapporti. Era sempre una disfatta. Ma cosa poteva rimproverarsi? Non l’insincerità, neppure il cinismo. Semplicemente si stancava. Carlo amava innamorarsi. Si buttava a capofitto in ogni storia con la foga di un narratore che ami raccontare se stesso senza mai ripetersi. Erano sensazioni che

    trasfiguravano il mondo, perfino l’ospedale dove lavorava. Tutto era musica, palpito, privilegio. Nelle sue esibizioni nei locali, suonava il sax per una donna. Faceva il pieno d’ammirazione e la notte era il suo palcoscenico. Poi, però, qualcosa cambiava. Il mondo tornava a tinte opache. I battiti regolari, l’odore respingente delle corsie, la sensazione di svuotamento. D’un tratto

    diventava passivo, consapevole della fine ma incapace di imporre un taglio. Era così che le donne finivano per accanirsi contro di lui. Dopo essersi gonfiato d’orgoglio, ripartiva sempre da un gradino più basso. Con Ada sentiva di avere raggiunto il fondo. Il livello della non esistenza. «Tu non esisti più... tu non esisti più...». Si era perfino rivolto a un analista.

    Quello gli aveva parlato di proiezioni che stanno alla base dell’innamoramento e lui aveva pensato ai fratelli Lumière. Poche sedute erano state sufficienti ad alleggerire la curiosità e il portafoglio. No, molto meglio alzarsi e lasciare la collina artificiale con un proposito. Avrebbe fatto più attenzione. Basta con le accecanti sbandate. Si sarebbe guardato dentro, per l’ennesima volta,

    alla ricerca di appigli. Appena fu in piedi, si scrollò via l’erba dai pantaloni. L’orologio in cima a un palazzo segnava le sedici e trenta. Il suo giorno di riposo stava evaporando nella tristezza, quando una vibrazione lo fece trasalire. Estrasse il telefono cellulare dalla tasca e sul display apparve un nome lampeggiante: Lia... Lia... Lia. L’aveva conosciuta a un concerto,

    pochi giorni prima. Rispose con un flebile sussulto del cuore. Una voce leale, amica, aperta. Di nuovo il sole nel cielo. Di nuovo l’adrenalina. La città parve sorridere. Era ancora bello innamorarsi. Peccato che ci fosse sempre di mezzo una donna.

    L'era di Cupidix

L’era di Cupidix

Pubblicazione: 29 ottobre 2015

Collana: Dissensi

ISBN: 9788896350515

Prezzo: 10.00 

Cupidix ti fa innamorare pazzamente Disamor ti fa scordare pene e tormenti Fidelix ti aiuta a non tradire il partner La rivoluzione sociale in... «pillole».

Un’azienda chimico-farmaceutica lancia sul mercato un prodotto dagli effetti dirompenti: CUPIDIX, la pillola che fa provare le stesse sensazioni dell’innamoramento e le sostiene nel tempo. Si afferma un’euforia generalizzata e artificiale, dalla quale sono esclusi solo coloro che soffrono per traumi sentimentali irrisolti. Si decide quindi di mettere a punto un secondo farmaco che prepari il terreno al primo: DISAMOR. Sofferenza e crisi depressive sono uno spettro del passato, ma la reazione di tante categorie che vivono sull’insoddisfazione è violenta. Dal clero agli psicoanalisti, dagli industriali ai cronisti di nera, è un fiorire di attacchi. I fatti vengono vissuti attraverso l’intreccio delle storie di tre coprotagonisti. Carlo, trentatré anni, infermiere, talentuoso sassofonista con la passione del jazz. La sua tendenza a cercare l’innamoramento passionale gli impedisce di vivere rapporti stabili. È il consumatore ideale di CUPIDIX. Ada, ventisei anni, aspirante attrice, fatica a dimenticare il suo ex fino a quando non decide di inghiottire una pasticca di DISAMOR. Giovanni, rampante, ambizioso, professa aperto disincanto verso l’amore e, temendo che possibili sbandate possano compromettere la sua carriera, s’inventa una terza pillola, FIDELIX, per cementare la fedeltà di coppia.

PAOLO PASI (Milano, 1963), giornalista e scrittore, nel 1995 vince la prima edizione del premio giornalistico Ilaria Alpi e dal 1996 lavora in Rai. Ha scritto romanzi e racconti, tra cui Memorie di un sognatore abusivo (2009), E il cane parlante disse bang (2011), Il sabotatore di campane (2013) pubblicati da Edizioni Spartaco e il saggio Ho ucciso un principio – Vita e morte di Gaetano Bresci.
Pasi è anche chitarrista e compositore, e fa parte della giuria del premio musicale Piero Ciampi. Dopo Fuori dagli schermi, nel 2014 è uscito il suo nuovo cd Un bacio stralunato.

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