Immaginate la Befana scambiata per una rom e minacciata di morte dal proprietario di una villa, oppure un pirata costretto a ricorrere all’analista o ancora un noto canarino spinto al suicidio e il cane più tenero del mondo ridotto a rapinare locali pubblici per sbarcare il lunario. Immaginate ancora un uomo perseguitato da un sosia virtuale su un noto social network e un altro che si imbottisce di tritolo per imporsi sulla scena di un reality di successo. In un mondo reale sopraffatto dalle immagini, i cartoni animati si ribellano alla notorietà che invece gli uomini inseguono disperatamente: i ruoli spesso si rovesciano in E il cane parlante disse bang, questi ventidue racconti che incrociano storie verosimili con altre grottesche, l’umanizzazione dei personaggi della fantasia e la deriva spesso caricaturale degli esseri in carne e ossa. E alla fine, tra un matrimonio trasformato in incubo da wedding planners professionisti, il silenzio enigmatico di un tizio che vede il suo opposto allo specchio, la rassegnata esistenza di un vampiro disoccupato in una città esangue e la rivoluzionaria scoperta di un navigatore esistenziale, le storie degli umani e dei cartoni animati confluiscono in un destino comune: l’essere numeri, ciascuno dei quali rivendica la sua unicità.
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E IL CANE PARLANTE DISSE BANG
Il cane parlante entrò nel bar e ordinò un rum. «Spicciati, amico, ho sete» disse all’uomo dietro il banco. Quello, imbambolato e vacillante, sgranò gli occhi e allargò una smorfia di sorpresa. «Perdio, tu sei Braccobaldo». «Braccobaldo è morto, idiota. Non ne poteva più di quella stronza di Clementina. Da bravo, dammi questo rum e fatti i
cazzi tuoi». «Non posso credere che tu sia diventato così volgare e grezzo. Tu sei Braccobaldo, non c’è dubbio, ma parli come un disperato...». «Ci mancava pure il barista introspettivo... ma perché non vai a cagare e non mi lasci bere in pace?». «Tu... l’idolo della mia infanzia». «Mi stai addossando troppe responsabilità. Non sono stato io a farti nascere con quella faccia».
«Ah sì? Ma vedi di andare affanculo... Sai che ti dico? Sparisci, cane rognoso, esci da questo bar». «Ma allora fai il duro, eh?» e il cane parlante tirò fuori una pistola. «Scommetto che adesso hai una voglia pazza di servirmi un bel bicchiere, non è vero?». «S-sì, non fare cazzate, però. È carica?». «Certo, idiota. Mi sono dato alle rapine, adesso». «Non avrei mai immaginato...».
«Con i diritti che ci pagano viviamo a malapena una settimana al mese». «Viviamo? Perché parli al plurale?». «Sai, hai proprio l’aria di uno che è allergico all’intuito. Ti rivelo un segreto, testa cava. I cartoni animati non se la passano granché bene. Bugs Bunny è un tossico, Silvestro gli passa la droga, Daffy Duck si è beccato l’aviaria. Tra Antenati e Pronipoti è in corso
una faida familiare. Siamo un esercito di disadattati. E sai perché?». «N-no, perché?». «Per colpa di gente come te. Ci avete condannato alla notorietà, e alla lunga la notorietà schiaccia. Sempre e solamente un ruolo: o eroe buono, o antieroe maldestro, o perfido simpaticone. Tante maschere appiattite per farvi divertire. Ci avete negato il diritto alla
complessità. Titti si è sparato l’altro giorno. Ricordi l’uccellino di Silvestro? Proprio lui. Non ne poteva più di vincere nel modo più insignificante. Si sentiva un protagonista senza spessore, e perfino i bambini hanno finito per odiarlo. Dai, caccia fuori il rum...». «Come avete potuto ridurvi così? C’è tutto un pubblico che vi ama...». «Piantala con queste fandonie.
Mi sta venendo voglia di bucare la tua zucca che è più vuota di questo bar di merda. Caccia il rum, ho detto!». Al che il barista allungò un bicchiere colmo. Il cane parlante lo vuotò d’un fiato, tenendo sempre la pistola puntata: «Anche noi subiamo il lato osceno della vita reale, lo sai? Cose tipo bollette, mutui, liti per futili motivi di parcheggio. Eppure dobbiamo far finta di niente. Sempre ottimisti
e baldanzosi, oppure perdenti ma tenaci. Ma credi davvero che i cartoni animati siano una congrega di beoti felici del loro destino?». «Non saprei...». «Ma guarda un po’, lui non saprebbe...» e il cane parlante si guardò intorno per cercare uno sguardo complice, ma dopo un’esplorazione di collo tornò agli unici occhi del locale. Quelli terrorizzati del barista.
«Chi ha cercato di ribellarsi al ruolo l’ha pagata cara» continuò. «Jerry ha perso una parte solo perché si è fumato un sigaro alla faccia di Tom. Sacrificato sull’altare del politicamente corretto. Io stesso ho avuto delle grane per essermi fatto un goccetto alla guida del mio trabiccolo. Mi hanno additato come pessimo esempio che vanificava le campagne di educazione stradale.
Gente come te, che si eccita al pensiero della velocità e ha un talento naturale per i tamponamenti. Io guiderò come un cane, ma è nella mia natura. Voi siete peggio. Ipocriti e inaffidabili. Per anni ci avete blandito con sorrisi spenti, e poi ci avete scaricato. Ho la gola secca, babbeo. Versamene un altro po’...». Il cane parlante sbatté il bicchiere
sul banco. La sua presa sulla pistola era pericolosamente salda, e il barista versò il rum con mano tremante. «Nessuno vi ha scaricato...» protestò con voce acuta. «Ah no? Ma non ti guardi in giro? Ormai i cartoni animati siete voi. Persone esili e schematiche. Controfigure di voi stessi. Senza complessità né incoerenze dichiarate. Vi calate così bene in un personaggio
che finite per crederci, ma il guaio è che avete smesso di sognare». «Io non sono così...». «Vuoi farmi credere che sei ancora capace di entusiasmarti? Con quella faccia?». «E pensare che sei sempre stato un idolo per me...». «Balle. Poco fa volevi buttarmi fuori dal locale». «Mi avevi provocato...». «La verità è che non avete più bisogno di noi. Ci avete soppiantato dopo averci succhiato
l’anima. Puah, voi uomini... Guarda il commissario Rex. Lui è un cane vero. Abbaia, scodinzola, ed è diventato un eroe. A me invece che cosa hanno dato persone come te? Una voce, un’auto, la consapevolezza della vita, ma l’obbligo di attenermi alle più stupide divagazioni. Chiunque ha finito per considerarmi una specie di botolo sentimentale in via di estinzione. Roba utile solo
per l’archivio». «Io non ti abbandonerò mai». «È una promessa o una minaccia?». «Ti seguo sempre...». «Lascia da parte le ruffianerie e metti mano alla cassa, piuttosto». «Che cosa?». «Tira fuori il grano, bello. Il rum era passabile, ma adesso è ora di lavorare. Ora sai che è per una giusta causa» e fece ballare la canna della pistola, disegnando nell’aria
piccoli cerchi minacciosi. «Vacci piano con quel ferro, amico. Ecco, tieni. È tutto quello che c’è nella cassa». «Uhm... un po’ pochino. Non è una somma da lieto fine, lo sai?». «C-che vuoi dire?». «Che adesso ti sparo. Niente di personale, testa cava. Considera la cosa come parte di un più generale disegno di vendetta. Ci siamo dentro tutti. Silvestro, Titti, Be Beep, Will Coyote, Tom e
Jerry, e gli altri che sai. Ti saluto» e il cane parlante sparò. Dalla canna della pistola, come spinta da una molla, uscì un’asticella da cui si srotolò una piccola bandiera con la scritta Bang! Poi il cane parlante voltò le spalle al barista e uscì dal locale cantando un motivetto banale e sconcio. Nel ritornello ricorreva il nome di Clementina, e non erano parole d’amore.
E il cane parlante disse bang
E il cane parlante disse bang
Storie di umani e cartoni animati
Dall'autore di Memorie di un sognatore abusivo