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  • I primi mesi della propria vita, Albert Camus li trascorse a Saint-Paul, un paese vicino a Mondovi, presso l’azienda vinicola dove lavorava il padre Lucien. Allo scoppio della prima guerra mondiale, Camus si trasferì con la madre, Catherine Sintès, ad Algeri, a casa della nonna, nel quartiere popolare di Belcourt. Il motivo del trasferimento fu la chiamata alle armi del

    padre Lucien, figlio di francesi d’Algeria, partito a combattere in Europa e ucciso pochi mesi dopo, a ventinove anni, dalla scheggia di una mina. L’infanzia di Camus, povera e segnata dall’assenza del padre, fu tuttavia felice e multietnica. E molto lontana dall’Europa e dalle sue problematiche. Dal suo quartiere, solo una strada lo separava dal Marabout, il quartiere arabo, e qui più

    che altrove la classe operaia europea incontrava la popolazione indigena. Camus giocava con bambini francesi, arabo-berberi spagnoli, italiani, maltesi. La passione per i giochi di squadra, per il calcio, sfogata in lunghe partite nei campi di periferia prima e in quello del liceo poi, maturò quella propensione al lavoro in team, che sarà una

    caratteristica fondante del suo procedere, come giornalista e come uomo di teatro. Crescere nel melting pot, coesistere con le diversità, gli insegnò il rispetto dell’altro e la capacità di instaurare rapporti di comunicazione orizzontali e non gerarchici. In questo contesto in cui «la xenofobia affiora come la solidarietà» la seconda gli si impose come una scelta quasi naturale.

    Nel 1918 iniziò a frequentare la scuola primaria comunale di Belcourt, che cercava di trasmettere agli allievi un’immagine materna della Francia. Tra gli alunni c’erano alcuni bambini arabi, ma in un rapporto di uno su dieci rispetto a quelli di origine europea. I giovani musulmani parlavano francese e i loro compagni europei imparavano alcune parole

    di arabo dialettale. A togliere dalla strada Camus fu il suo maestro di scuola, Louis Germain, che, conoscendo le sue doti, andò a trovarlo fino a Belcourt quando si trattò di convincere sua madre e sua nonna a fargli proseguire gli studi. Grazie a lui, quindi, Camus scoprì nella cultura e nella lingua degli strumenti di emancipazione e nel 1924, dopo aver superato

    l’esame d’accesso, fu ammesso al liceo «Bugeaud» che godeva di un’ottima reputazione e dove usufruì di una borsa di studio ottenuta perché figlio di un soldato morto al fronte. Cominciò qui la formazione del suo pensiero e, per capirne le dinamiche, è utile analizzare il contesto di quegli anni, tra le due guerre, in cui l’Algeria viveva una fase di

    effervescenza economica, sociale, culturale e politica. Dopo quasi cent’anni di colonizzazione la popolazione d’origine europea e quella arabo-musulmana, che per molto tempo si erano sopportate con disprezzo, cominciavano a conoscersi, pur sempre in un rapporto di subalternità tra colonizzatori e colonizzati. Tuttavia, fin dagli inizi degli anni Venti cominciarono

    ad apparire nella letteratura francese degli autori indigeni e Abdelkader Fikri divenne il primo autore arabo ammesso nell’Associazione degli scrittori algerini. Come quelle del popolo arabo-musulmano. Se gran parte dei francesi d’Algeria componeva un proletariato e un sottoproletariato escluso dalle grandi ricchezze, le quali rimanevano in mano a una

    ristretta élite coloniale, le barriere imposte da una colonizzazione particolarmente violenta e durata quasi un secolo contrastavano con le avvisaglie di un risveglio del mondo arabo che cominciava a essere palpabile. Quindi nell’opinione pubblica dei francesi d’Algeria, a lungo dominata da una destra coloniale restia a ogni concessione verso

    gli indigeni, per la prima volta si erano costituiti dei settori di stampo «liberale» che cercavano di superare gli steccati tra le due comunità.

    Camus. L'unione delle diversità

Camus. L’unione delle diversità

Collana: I Saggi

Pagine: 216

ISBN: 9788896350355

Disponibilità: buona

Prezzo: 15.00 

Una società dei popoli liberata dai miti della sovranità una forza rivoluzionaria che non s’appoggia sulla polizia e una libertà umana che non sia asservita al denaro

«Ci è sembrato che non potessimo fare di più che costituire, al di sopra delle frontiere, isolotti di resistenza dove tenteremo di mantenere, a disposizione di quelli che verranno, i valori che restituiscono un senso alla vita».

Albert Camus è stato uno degli autori più significativi e originali del Novecento. Celebre soprattutto per i romanzi (Lo straniero, La peste, La caduta) e le pièce teatrali (Caligola, Il malinteso, I giusti), venne a lungo dimenticato in quanto intellettuale critico e militante senza partito. Solo ora che la sua figura è pienamente uscita dal cono d’ombra nel quale era stata relegata, quella della polemica con Sartre, i saggi e gli interventi politici di Camus, letti senza le lenti delle ideologie, vengono valutati per ciò che realmente esprimono. Le sue prese di posizione di sinistra libertaria, nel contesto di una guerra fredda dominata dalla logica del «con me o contro di me», caddero nel vuoto, bollate come inattuali. «Lui è andato avanti da solo e a volto scoperto» dice la figlia Catherine. E oggi sono proprio la coerenza e la sincerità di certe posizioni, sul franchismo, sulla politica sovietica e il comunismo, sulla questione algerina o sul federalismo europeo, a fornirci solidi strumenti per leggere in modo inedito il nostro passato prossimo e per interpretare e affrontare il nostro presente. Camus. L’unione delle diversità è un saggio che segue il filo del pensiero di Camus e non semplicemente la cronologia dei fatti che segnarono la sua breve ma intensa vita.

Albert Camus, scrittore, giornalista, autore e regista teatrale, nacque a Mondovi (Algeria) nel 1913 e morì in un incidente stradale in Francia nel 1960. Nel 1957 gli venne attribuito il premio Nobel per la letteratura. La sua opera, che parte dal tema esistenziale dell’assurdo, si sviluppa in romazi (Lo straniero, 1942; La peste, 1947; La caduta, 1956), pièce teatrali (Il malinteso, 1944; Caligola, 1944; Lo Stato d’assedio, 1948; I giusti, 1950) e saggi (Il rovescio e il diritto, 1937; Noces, 1939; Il mito di Sisifo, 1942; Actuelles i, 1950; L’uomo in rivolta, 1951; Actuelles ii, 1953; Actuelles iii, 1958). Da giornalista collaborò con “Alger républicain”, “Le Soir républicain”, “Combat” (organo del movimento della Resistenza francese in cui militava), “L’Express”, e con numerose riviste libertarie come “Le Libertaire”, “La Révolution prolétarienne”, “Témoins”. Nella borsa che aveva con sé quando morì, venne ritrovato il manoscritto del romanzo incompiuto Il primo uomo, pubblicato postumo nel 1994.

Alessandro Bresolin (Castelfranco Veneto 1970) su Albert Camus ha curato l’antologia di testi La rivolta libertaria (Eleuthera, 1998) e ha tradotto e curato Il futuro della civiltà europea (Castelvecchi, 2012). Per Edizioni Spartaco ha pubblicato il romanzo Gesti convulsi. Sul palco e nella vita (2013), ha curato la raccolta di saggi di Ignazio Silone dal titolo Le cose per cui mi batto e tradotto i romanzi Ambizione nel deserto di Albert Cossery, La principessa del deserto di mezzo di Hamid Skif, Ammazza un bastardo! e La strega mascherata di Colonel Durruti, Il sangue di Fatima di Armand Julia. Come freelance ha collaborato con “Lo Straniero”, Rai Radio 3, “Il Manifesto”, Carmillaonline.

 

La prefazione scritta da Agnès Spiquel, presidente della Société des Études camusiennes, al libro uscito nel 2017 in Francia per Presse Fédéraliste :

«Impedire che il mondo si disfi»: l’ardente necessità di cui parlava Camus nel suo Discorso di Stoccolma oggi è ancora più viva; e, in questa vigilanza attiva, la responsabilità degli intellettuali è immensa. Per aiutarsi in questo compito, possono rivolgersi ai loro predecessori – non per trovare delle risposte precostituite, ma per vedere come hanno fatto, loro, a pensare il loro secolo.

Alessandro Bresolin si volge verso Camus, che dovette affrontare quella che fu la Storia terribile e sanguinosa del XX secolo. Non lo erige a professore di morale politica; ma cerca – pazientemente – di vedere come si sono formati il pensiero e l’etica politica di Camus, a contatto con gli eventi e con un reale dal quale si è sempre rifiutato di distogliere la propria coscienza, la propria intelligenza e sensibilità.

Bresolin pone la sua indagine sotto il segno di un pensiero federalista a cui aderisce da tempo e ne cerca le tracce nello stesso Camus: «unione delle diversità» d’altronde è la definizione di federazione che lui stesso fornisce in Cronache algerine, da filosofo che sa la differenza tra totalità e unità, dal momento che solo la seconda permette il rispetto delle diversità. Questo libro costituisce quindi una buona iniziazione al federalismo, nel suo legame con la tradizione libertaria; grazie a una documentazione sviscerata e ben padroneggiata, chiarifica dei pezzi interi della Storia; ripercorre il percorso del pensiero federalista, distingue tra «anarchico» e «libertario». Tra Italia, Spagna, Francia e Algeria, disegna la culla privilegiata di un’ideologia mediterranena dove, con i tratti e le difficoltà specifiche a ogni paese, si diffonde una tradizione di libertà nel rifiuto dei centralismi e dei verticismi; è alla luce di questa tradizione ad esempio che viene riletta la lotta di Messali Hadj contro il colonialismo (e contro l’FLN durante la guerra d’Algeria).

Queste precisazioni vengono fatte in modo del tutto naturale, seguendo passo dopo passo la «formazione» di Camus: ad esempio il suo impegno nell’Algeria degli anni Trenta; i suoi punti d’incontro con Ferhat Abbas o la sua vicinanza con Messali Hadj; l’influenza determinante di un uomo come Robert-Édouard Charlier; i suoi incontri e la sua amicizia con Chiaromonte o con Silone. Camus non impara il federalismo dai libri; lo scopre attraverso degli uomini – soprattutto in quel crocevia essenziale che è stata la guerra, che, nella mescolanza forzata degli intellettuali, ha consentito incontri in cui le convergenze hanno fortificato le convinzioni: il pensiero federalista rafforza le prevenzioni di Camus contro i nazionalismi e precisa il suo desiderio di Europa. E’ affascinante vederlo imparare poco a poco l’Europa e fondare il pensiero politico che ispirerà i suoi articoli di Combat così come i suoi testi e interventi di fronte all’imporsi della guerra fredda; e che sosterrà anche il suo coinvolgimento nei Groupes de liaison internationale.

La prospettiva federalista mette sotto un’altra luce anche L’Uomo in rivolta; c’era da aspettarselo dopo che in questi ultimi decenni molti lavori hanno insistito sulle convergenze profonde di Camus con il pensiero libertario e sull’abbondanza delle sue pubblicazioni nelle riviste di questa corrente. Questa stessa prospettiva inoltre è probante per una rilettura di Cronache algerine: sul suo versante politico, «Miseria della Kabilia» propone un’evoluzione federale della provincia a partire dalla sua organizzazione comunale tradizionale; e si capisce meglio ciò che sottende il riferimento, spesso deriso, alle proposte di Lauriol in «Algeria 1958». Si disegna così, in Camus come nei federalisti italiani con cui è in contatto e che cercano anch’essi di pensare una via d’uscita per l’Algeria, uno schema di federazione al contempo interno ed esterno, per l’Algeria come per la Francia: un’Algeria nuova, multietnica e multireligiosa, potrebbe essere costruita come una federazione essa stessa federata alla Francia e alla federazione europea, in seguito a una federazione eurafricana, prima di arrivare alla federazione mondiale.

Sorrideranno e grideranno all’utopia, come negli anni Cinquanta si è gridato alla cecità davanti ai tentativi coraggiosi di quei liberali che, con Camus, hanno tentato di promuovere un’Algeria liberata dalla colonizzazione ma plurale, mantenendo un legame con la Francia nel rispetto e nell’«unione delle diversità». La terza via che hanno cercato di spianare, tra le soluzioni sempre più estreme a cui ricorrevano i nazionalisti e i colonialisti, non rappresentava un giusto equilibrio comodo per la coscienza – ma una scelta risoluta per la libertà e per la giustizia. La loro sconfitta storica non invalida le loro convinzioni politiche.

Camus vedeva nel nazionalismo l’humus dei totalitarismi di ogni specie; il mondo attuale lo conferma a volontà. Perciò questo libro è eminentemente utile; tanto più che mostra come un pensiero politico si elabora poco a poco a contatto, spesso ruvido, con l’esperienza – che viene di continuo forgiata da una scottante esigenza, indissolubilmente politica ed etica.

 

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Recensioni

“Camus. L’unione delle diversità” recensito su Be.Brussels-express