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  • Musica oscura, ipnotica, fumo bianco, luci stroboscopiche che seviziano gli occhi, acconciature ardite, vestiti lugubri. È la notte di Capodanno, sono le tre passate e tutti si divertono, tutti tranne me; sono assorbito dal ritmo, guardo la gente e penso di andarmene, anzi penso che sarebbe stato meglio se non fossi proprio venuto, se me ne fossi restato

    a casa. Eppure ordino un’altra birra; sono già parecchio avanti con il lavoro, quella che stringo fra le mani è l’ottava. Lei mi osserva già da un po’, non fa nulla per nasconderlo, mi guarda e beve forte: uno, tre, cinque vodka tonic, giù come acqua fresca, e qui il barista è uno che non si risparmia. Appoggiato a un capo del bancone, tiro sorsate, ogni tanto ricambio i suoi

    sguardi. Parla con tutti quelli che le rivolgono la parola, e ride, spontanea e selvaggia; con due dita della mano sinistra avvolta in un guanto di pizzo nero, stringe uno spinello, e accavalla spesso le gambe, un movimento armonico, sensuale, ha classe; a un certo punto è come se le altre persone intorno a lei non esistessero più: il suo sguardo si fissa al mio come un chiodo

    a una parete. Il tempo di ricambiare il saluto di un conoscente, un paio di secondi appena, e me la ritrovo davanti, con il suo trucco pesante, il rossetto petrolio, il suo vivido pallore. «Tu sei il bassista del gruppo La Carcasse Dansant». Non è una domanda, è un’affermazione, tanto diretta quanto fuori luogo: la Carcassa Ballerina non esiste più da tempo,

    ventotto anni, mese più mese meno; i fan sono ridotti a un manipolo, scarso ma agguerrito. È lo zoccolo duro che ogni band underground mai emersa possiede, l’unico appiglio possibile a un mondo tanto effimero quanto ormai lontano. Annuisco, è l’unica risposta possibile. Lei attacca bottone e mi seduce subito, con frasi appena sussurrate ma perfettamente

    comprensibili a dispetto dei decibel, e soprattutto con quelle labbra carnose, proscenio perfetto al palcoscenico del suo viso. La pista del dannato Hard Club, benemerita balera emo, gronda testosterone fresco: giovani pallidi, emaciati e vestiti a lutto ondeggiano sinuosi sulle note dei Bauhaus, ballano fieri e persi al ritmo di A forest dei Cure, again and again and again,

    ma lei ha occhi solo per me. Vuole scoparmi, questa cosa è chiara fin dalle prime battute del nostro bizzarro dialogo e io non riesco proprio a capirne il motivo. È vero che noi musicisti crepuscolari abbiamo il quadro che invecchia per noi nell’armadio – soprattutto noi bassisti, è risaputo – ma questo non spiega lo strano accanimento della

    Dark lady nei miei confronti. Le sue mosse sono rapide e insindacabili: prima mi bacia con ingordigia spingendomi contro una colonna del locale e strusciandosi addosso come una gatta, poi mi trascina fuori con i suoi artigli e mi sbatte più volte contro la parete della fermata del bus notturno Mestre-Venezia; la testa mi gira priva d’attrito, una trottola su una superficie

    liscia. Sul battello notturno che porta verso casa, casa mia, fa di peggio: mi spinge sui sedili esterni e sale su di me a cavalcioni, cominciando a dimenarsi sinuosa come una serpe isterica, un’ossessa, fino a dare scandalo ai pochissimi astanti con mugolii baritonali e spaventose urla alla Regan MacNeil. Mi fa fumare e io ormai è un po’ che ho chiuso con certe cose; la trottola aumenta

    i suoi giri e la mia testa con lei. So che potrebbe sembrare triste: rocker middle-age con seri problemi di alcolismo che non riesce a separarsi dal suo vissuto glorioso, giovane darkettona che farebbe di tutto pur di poter millantare una notte con una quasi star, o quanto di più le si avvicina. Che pena! E invece no, invece è passione bruciante, empatia

    sessuale allo spasimo, senza barriere, senza tabù. Arriviamo allo stremo sul principio dell’alba, sazi. Lei svogliatamente si accende una sigaretta, poi, dopo un paio di boccate, la lascia morire nel posacenere e si alza fulminea. Io, ancora nell’euforia post orgasmica, la guardo rivestirsi e qualcosa non torna: i suoi abiti sembrano appiccicarseli addosso da soli, senza che muova

    nemmeno un muscolo, una cosa ultraterrena. Sarà la droga, penso. Lei rimane a fissarmi senza dire nulla; io, imprigionato in quella malia, taccio a mia volta, come un poeta inaridito. Il mio povero cervello spappolato già biascica, dentro di sé, strane frasi confuse riguardo l’amore, la convivenza e tutto quell’insieme di stucchevoli dolcezze che non hanno nulla a che fare con me

    e fanno anche poco punk. Poi lei espone la situazione, lo stato delle cose: m’illustra il o patto scellerato, obbligandomi ad accettarlo sottoscrivendolo con una singola goccia di sangue, partorita dal mio indice e dalla punta del suo spillone per capelli, un’arma in quelle mani affusolate. Accetto, non ho altra scelta; accetto perché la Morte è una creatura

    che rispetta le scadenze ed è poco propensa al contraddittorio.

    Bisesto

Bisesto

Sette canzoni per la Morte

Pubblicazione: 8 novembre 2018

Collana: Dissensi

Pagine: 264

ISBN: 9788896350737

Disponibilità: Buona

Prezzo: 15.00 

«Ho deciso che voglio essere un ingranaggio diseguale, un creatore d’inceppamenti e disfunzioni, la spina nel fianco della Morte e del suo fottuto ministero».

«Ti piace giocare, Flavio?». Una domanda banale se non fosse che a fargliela a bruciapelo è la Morte in persona, infida e bellissima, dopo una superba notte d’amore. Kidda, al secolo Flavio Tosetto, è il bassista del gruppo new wave La Carcasse Dansant, nelle vene alcol e speranze tradite, impegnato a riunire la rock band per una serata revival in occasione del trentennale dell’unico disco uscito negli anni ’80. Sul libro del destino, per fatale errore, c’è un nome di troppo: la macabra sfida parte da Venezia e Kidda dovrà essere più veloce di un suo misterioso antagonista nell’interpretare enigmi e indizi sparsi per i cimiteri della Serenissima, di Roma, Milano, Genova, Firenze, proposti sotto una luce completamente inedita: mancano pochi giorni al Carnevale, termine ultimo per scamparla o tirare le cuoia. Guidato da impensabili animali guida come farfalle nere e nugoli di zanzare, questo rocker di mezza età, autoironico e decisamente fuori di testa, incontrerà defunti eccellenti, da Helenio Herrera a Basaglia, da Trilussa a Gassman, da Toscanini a Manzoni, da Artusi a Collodi, da Faber a Govi, così fedeli ciascuno al proprio tempo e alla propria personalità eppure così mordaci, così vivi.

Beffarda, la penna di Vismara trascina il lettore in un thriller dai toni gotici sdrammatizzati con formidabile leggerezza, che ricorda le atmosfere surreali del Maestro e Margherita di Michail Bulgakov.

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Recensioni

Su RadioElettrica , da 1.32.00, intervista all’autore  Andrea Vismara su Bisesto  

Bisesto su “Guida al Natale” inserto  del Corriere del Mezzogiorno 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bisesto recensito su Il Corriere Fiorentino

 

 

 

 

 

 

Bisesto recensito su Mille splendidi libri e non solo wordpress

Bisesto recensito da Martino Baldi

Bisesto recensito da Erika Di Giulio per Progetto Medea 

Bisesto recensito su Chili di Libri

Bisesto recensito su Senzaudio

Bisesto recensito su Il fatto Quotidiano

Bisesto recensito da Sabrina Pennacchio

Bisesto recensito sulle pagine di Leggere:Tutti

 

 

 

 

 

 

 

 

Bisesto recensito su Cronache di Caserta

 

 

 

 

 

 

 

 

Bisesto recensito su Culturificio

Bisesto recensito su Modulazioni Temporali

Bisesto recensito sul blog A tutto volume libri con Gabrio

Bisesto recensito sul blog I Bookanieri

 

 

 

 

 

 

 

 


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