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  • Una pelle sulle spalle. Cavalcava nella boscaglia. Erba. Querce. Platani. Pini. Sobbalzi. Sussulti. La barba incolta, i capelli lunghi, sciolti. Non ne poteva più, era stanco. Non riusciva a liberarsi di quell’odore di sangue e morte che lo aveva avvolto a Canne. La battaglia era stata un massacro. Un inevitabile massacro. Morti a migliaia. Ma in battaglia la morte la si mette nel conto: quella

    dei propri soldati, quella dei nemici, finanche la propria. Nessuna pietà. Nessuna clemenza.Nessun compromesso. Mediano i deboli, non i forti, ripeteva a se stesso. Continuava ad avanzare nella selva; più si allontanava dal campo di battaglia, maggiore era il senso di prostrazione e spossatezza che avvertiva. Il destriero procedeva a passo cadenzato lasciando al cavaliere il tempo

    di rivivere le scene più cruente dello scontro. Visioni dai colori brillanti, come quelli di un incubo recente fin troppo reale. I feriti, inermi e incapaci di difendersi, erano stati pugnalati a uno a uno. Essere spietati era un obbligo. Il giorno dopo, perlustrando la distesa di cadaveri cui era ridotta la piana, udì un lamento che richiamò la sua attenzione. Si rigirò sul suo cavallo

    sauro e vide un braccio muoversi lentamente in un bagno di sangue. Era Frizio, un giovane cartaginese che lo aveva seguito nella campagna militare. Ferito da un fendente, era caduto, e i cavalli al galoppo gli avevano maciullato le gambe. Il ragazzo era orfano di entrambi i genitori, amici carissimi di Annibale. Il padre era stato ucciso combattendo, da eroe,

    al fianco del comandante Amilcare nella campagna di Spagna; la madre si era spenta poco dopo per il dolore. Annibale aveva preso con sé Frizio, ancora bambino, e lo aveva amato come un figlio, facendolo crescere nel culto del ricordo del padre. Era stato istruito come un principe e addestrato all’uso delle armi. Quando Annibale era partito per l’Italia lo aveva portato con sé.

    Sceso da cavallo, sollevò delicatamente il corpo martoriato del giovane. «Generale, non ti dare cura per me. Si vede che la sorte questo mi riservava. Ti sono grato di tutto quello che hai fatto in questi lunghi anni. Adesso voglio che sia tu a porre fine alle mie sofferenze con il tuo pugnale. I feriti sono un impaccio per l’esercito, questo lo so bene. Tanit e Baal così hanno deciso.

    Ora scorgo mio padre che allarga le braccia... aspetta solo di stringermi, dopo tanto tempo... Lo vedo, un semidio tra i valorosi caduti di Cartagine... Su, generale... prendi il pugnale e fai il tuo dovere...». Annibale, come un automa, estrasse la lama dal fodero e gli trafisse il cuore. Poi lo fece trasportare al campo e gli riservò un funerale da eroe. Nessuna pietà.

    Nessuna clemenza... Un mantra che recitava ora contraendo la mascella e facendo stridere i denti mentre cavalcava. Si ridestò dai suoi pensieri cupi e, con un colpo di redini accompagnato da un urlo di esortazione, lanciò il cavallo al galoppo nel folto del bosco. Intendeva mettere tra sé e il campo quante più miglia fosse possibile. E quanto più velocemente possibile.

    Annibale Spartaco e Garibaldi

Annibale Spartaco e Garibaldi

Pubblicazione: 27 ottobre 2016

Collana: Dissensi

Pagine: 128

ISBN: 9788896350607

Prezzo: 12.00 

Note storiche di Paolo De Marco

Nessuna pietà. Nessuna clemenza. Nessun compromesso. Mediano i deboli, non i forti, ripeteva a se stesso.

Oltre la Storia, al di là del mito, ci sono le imprese narrate in Annibale Spartaco e Garibaldi. Annibale, generale cartaginese che osò sfidare Roma, fu tentato di mandare tutto all’aria per amore di una contadina. Spartaco, pastore, schiavo, gladiatore che mise sotto scacco l’Urbe con uno stuolo di ribelli, aveva come confidente un cavallo. Garibaldi, impareggiabile stratega che sancì la disfatta dei Borboni nella battaglia del Volturno, leggeva il futuro nelle carte. Sul campo di battaglia i tre non perdonavano. Coraggio, determinazione, scaltrezza i tratti comuni. Ma non solo, perché, negli abissi del proprio cuore, il dubbio può assalire anche chi comanda. Ed è lì che si svela l’animo dei tre condottieri. Una scelta sbagliata può costare la vita ai soldati. Un’esitazione rischia di capovolgere l’esito dello scontro. Un indugio può determinare la disfatta. E così ciascun combattente fa appello al suo spirito guida. La fedele elefantessa Rumba. L’impavido corsiero Arione. Il sarcastico pappagallo Laverdure. Sullo sfondo c’è Capua, antica e moderna, teatro di guerre, terra che chiede indipendenza a tre uomini diversi i quali, in epoche lontane tra loro, cullano una sola aspirazione: la libertà.

Guido Trombetti (1949), già rettore dell’Università Federico II di Napoli, è professore ordinario di Analisi matematica presso lo stesso ateneo. Autore di circa quattrocento articoli per i quotidiani Il Mattino, la Repubblica, il Corriere del Mezzogiorno, Il Riformista, per Edizioni Spartaco nel 2014 ha pubblicato il romanzo Magellano e il magizete.

Paolo De Marco è autore delle note storiche che seguono a ogni racconto. È docente di Storia contemporanea del dipartimento di Lettere e beni culturali della Seconda Università degli Studi di Napoli.

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Recensioni

Annibale, Spartaco e Garibaldi al centro dell’intervista di Carlo D’Amicis a Guido Trombetti a Fahreragazzi – Fahrenheit Radio Rai Tre

Annibale, Spartaco e Garibaldi recensito da il Mattino

 

 

Annibale, Spartaco e Garibaldi segnalato da il Napolista