Questo romanzo «sovversivo» – a metà strada tra gli echi libertari del maggio ’68 e le rivolte nelle banlieue – muove dai canoni del noir classico per sovvertire anche quelli… È primavera e in tutta la Francia fioriscono provocatori manifesti inneggianti alla rivolta. Il giorno seguente un’onda di attentati, violenti e non, si abbatte sul paese. Un senatore viene ucciso, le indagini della polizia seguono a fatica le mosse dell’organizzazione, che riesce a mettere in atto azioni clamorose e provocatorie (come la tinteggiatura in viola delle facciate di un intero quartiere). Il governo trema, il «Soviet» dichiara la paternità delle operazioni. Un giovane ispettore si mette sulle tracce dei terroristi. Affrontando il caso, però, sprofonda nei dubbi. Cercando di capire, si mette in discussione. Saranno due donne (Claire Maroselli, una squillo d’alto bordo, e Virginia Slapski, una giovane artista d’avanguardia) a cambiargli la vita per sempre.
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I. IL MANIFESTO VIOLA
Parigi, metrò Châtelet, lunedì 18 marzo 1986, ore 9.16
Il convoglio del metrò si allinea con dolcezza lungo il marciapiede. Il signor Léna manovra la maniglia della porta, che si apre gentilmente. Si dirige verso l’uscita «Place du Châtelet» reggendo la sua valigetta. Di fronte al muro di cemento che sostiene le scale mobili si è formato un assembramento. In quel posto di solito c’è solo la mappa della linea, che non dovrebbe attirare tanto
l’attenzione della gente. Intrigato, Léna alza la testa. Una macchia di un viola luminoso attira il suo sguardo. Si avvicina suo malgrado, guarda sopra la folla. AMMAZZA UN BASTARDO! Il titolo di un film? Ma non riesce a distinguere nessuna foto. Né Belmondo, né Delon, solo quelle grandi lettere nere su fondo viola, sovrastanti un testo in caratteri più piccoli,
che scorge grazie a un movimento della folla. Quelli che hanno letto si allontanano, e qualcosa sul loro volto a Léna fa venir voglia di leggere a sua volta. Non è in ritardo, ha tempo. Spinge in avanti la sua figura pesante. AMMAZZA UN BASTARDO! Ovunque siate, chiunque siate, c’è un bastardo che vi rende la vita impossibile. Politico, ecclesiastico, militare, sbirro, padrone,
promotore, funzionario, doganiere, caporeparto, capetto, usciere, controllore, burocrate, bancario, etc. (lista non esaustiva). Ammazzatelo. Attuerete un atto di salubrità pubblica. Al contempo realizzerete un’opera d’arte di altissimo livello. La campagna AMMAZZA UN BASTARDO! vi offre anche la possibilità di soddisfare il vostro altruismo. Uccidendo chi
vi dà fastidio, uccidete pure chi infastidisce agli altri. Siate moderni. AMMAZZATE UN BASTARDO! Siate alla moda. AMMAZZATE UN BASTARDO! La vita è breve. AMMAZZATE UN BASTARDO! Pensate agli altri. AMMAZZATE UN BASTARDO! Divertitevi. AMMAZZATE UN BASTARDO! Il primo bastardo di livello nazionale morirà il
19 marzo 1986 alle 16.00. Ammazzate voi stessi il secondo. N.B.: Se le vostre intime convinzioni vi vietano di togliere la vita a qualche animale, per quanto nocivo, vi invitiamo a compiere lo stesso gesto in modo simbolico, ad esempio distruggendo un monumento alla gloria di uno o più noti bastardi, o ancora un’opera d’arte disgustosa a vostra scelta. Sotto, ancor più in piccolo,
le ultime due righe: Per evitare ogni confusione con comuni fatti di cronaca, fate una croce qui sotto per ogni bastardo abbattuto. Una casella vergine figura nel punto indicato. Non c’è traccia di firma. Nel corso della sua giornata lavorativa, il signor Léna avrebbe avuto occasione d’incontrare un buon numero di bastardi che gli sembravano direttamente presi di mira
dal manifesto.
Parigi, rue Barbès, 18 marzo, ore 9.22.
Il manifesto risplende sul muro. Mohand decifra lentamente il testo. Lo legge ad alta voce per gli amici Mansour e Ahmed. Sul momento non capiscono tutto. «È la solita pubblicità», dice Ahmed. «Ma no, è politico» dice Mohand, «non hai capito niente. Vogliono ammazzare tutti i bastardi». «Su questo, hanno proprio ragione». «È per un film?» chiede
Mansour. «Non lo so. Forse è vero...» ammette Mohand. «In ogni caso farebbe bene a tutti una cosa del genere. Ce ne sono di bastardi, dappertutto». Attorno, la folla si accalca come uno sciame d’api in un giorno di tempesta. Qualcuno ride, qualcuno s’indigna, qualcuno se ne frega. Ma durante la giornata l’idea si farà strada piano piano nelle teste. Saranno tutti
pronti domani, la mente completamente aperta a quel che seguirà. Domani alle 16.00.
Parigi, rue Christiani, locali di Libération, 18 marzo 1986, ore 9.33
«Dannato foglio, solo un quarto d’ora...». Albin Vernay picchia sui tasti come una bestia. Deve consegnare prima delle dieci. Il tempo di rileggere e correggere... Come appassionarsi a quella vecchia faccenda? Hanno aspettato troppo per risolverla. Che rompipalle!. Quel che conta, è l’evento quando accade. Che sia giusto o sbagliato, chi se ne frega, tanto passerà
un anno prima che qualcuno se ne accorga... Drrrrrrrriiinnggg! «E che cazzo!». Vernay alza la cornetta. «Ragazzo, ferma tutto, corri». «Non ho finito...». «Ferma tutto, è rinviato. Corri ti dico». «Cazzo! E dove?». «Giù in strada. Sembra che per tutta Parigi ci siano strani cartelli. Barbès ne è piena. Voglio che vai a renderti conto, che ti porti un fotografo, registri
le reazioni della gente...». «Cos’è questo cartello?». Ma l’altro ha già riagganciato. Vernay alza il culo, spegne la macchina per scrivere, agguanta la giacca a doppio petto e corre come gli è stato detto. Nell’ufficio di July non c’è nessuno, bisogna raccogliere le informazioni giù in strada. Tre minuti dopo, legge il manifesto viola.
Parigi, rue du Louvre, locali di Figaro, 18 marzo 1986, ore 9.47.
Anche Borgeaud si alza; cosa che non ama fare, da buon giornalista. Specialista in maldicenze, conosce tutti gli Hilton e gli Sheraton del mondo. È là che ha scritto i suoi migliori reportage: Vietnam, Iran, Afghanistan... Stavolta deve andare a vedere da sé. E neanche uno stagista per farlo al posto suo. Una seccatura... «Cos’è questa storia del cavolo? Mi disturbano per un paio di
manifesti?». «Tieni, eccone uno. Simone l’ha strappato giù all’edicola. Leggi e vedrai...». Borgeaud legge. Niente di così terribile lì dentro, non da montarci un caso... «Cazzate. È tutt’al più per vendere uno spettacolo di sinistra o...». «Il fatto è che nessuno lo sa, è per questo che Barthélémy pensa che possiamo ricamarci qualcosa...». «Bah!...».
Parigi, rue Lauriston, 18 marzo 1986, ore 10.
«Marcel? Scusa se ti sveglio... Il Moi je è chiuso, quello dove c’è il tuo reportage sui venditori di patate fritte per belgi lungo le strade nelle Cevenne. Va benissimo, vecchio mio. Allora? Hai sentito parlare di questa storia dei manifesti viola? No? Sono manifesti apparsi ieri sera su tutti i muri. Ce ne sono ovunque. Sì, viola. C’è uno strano testo sopra. Del tipo sinistroide anni settanta,
ma in versione abbastanza astuta. Ci sono riferimenti all’arte, alla politica... ci chiediamo di che si tratta. Certamente non sono politici, forse un gruppo di artisti un po’ pazzi, ma è possibile che sia un soggetto divertente da sviluppare. Bisognerebbe solo seguirlo dall’inizio, per farci qualcosa di buono... Non so, forse si rivelerà inconsistente, non ne so nulla, ma visto che non hai
niente da fare potresti andarci... Ok! Ok!... Lo so, ragazzo... Bene. Conto su di te, richiamami... Ciao, cocco...».
Neuilly, boulevard Maurice-Barrès, 18 marzo 1986, ore 10.22.
«Sì, glielo passo...». «Allora, Barnabé, spero che non mi svegli per una cazzata a quest’ora...». «No, no signor prefetto». «La ascolto». «È strano, signor prefetto. Dei manifesti viola sono apparsi durante la notte in tutta Parigi. Molto provocatori. Un testo sovversivo, che istiga all’omicidio. Annunciano anche un attentato o qualcosa di simile per domani alle 16.
È semplicemente una provocazione o al contrario una cosa seria, un avvertimento proveniente da un gruppo terrorista? Non lo sappiamo. Ma creano assembramenti ovunque e un’emozione che...». «Cosa dicono, questi manifesti?». «Ebbene glielo leggo, signor prefetto...».
Parigi, boulevard Saint-Germain, martedì 19 marzo 1986, ore 15.00.
Sotto il braccio di un passante più o meno simile a tutti gli altri, una copia dell’ultima edizione di L’Humanité. A pagina uno, il seguente trafiletto: PROVOCAZIONE SINISTROIDE ALL’USCITA DELLE FABBRICHE Ieri sera, all’uscita delle più grandi fabbriche della regione parigina, i lavoratori hanno trovato un manifesto stampato lussuosamente che non aveva molto
a che vedere con le loro reali preoccupazioni. Incitanti all’omicidio individuale e palesemente volti alla derisione delle rivendicazioni sindacali, tali manifesti molto fortunatamente sono stati distrutti da alcuni lavoratori preoccupati dell’integrità morale della classe operaia.
Parigi, Quai des Orfèvres, 19 marzo 1986, h. 15.14.
«Prego, Lefèvre. Desiderava vedermi?». «Sì, commissario. Riguarda una storia che preoccupa me e i colleghi. Ci siamo consultati dopo pranzo e...». «Al sodo, Lefèvre, al sodo!». L’ispettore deglutisce, raccoglie tutto il suo coraggio. I colleghi non hanno dato prova di grande carità spedendo lui, che sanno così timido, a formulare una richiesta tanto delicata all’Orso.
«È per il manifesto di ieri, commissario». «Ancora quel manifesto!». Lefèvre finge di non aver sentito. Si è dovuto forzare abbastanza per decidersi ad aprire la bocca; non la chiuderà prima di aver finito. «Forse si tratta di altro che non un semplice scherzo. La polizia è impopolare, commissario. Se un’ondata di attentati deve abbattersi su Parigi, probabilmente prenderà
di mira in primo luogo esponenti delle forze dell’ordine, e senz’altro i più vulnerabili per primi». Il commissario Martin scaccia l’osservazione con la mano. «Ora» prosegue Lefévre con voce più ferma, «il manifesto precisa che il primo attentato avrà luogo oggi pomeriggio alle 16, cioè fra meno di un’ora...». «E lei pensa che questa precisione basti a rendere credibile la minaccia, vero?
Ascolti, Lefévre, se dovessimo prendere sul serio tutte queste minacce, passeremmo la nostra vita, noi sbirri, a correre ovunque inseguendo il vento e i malviventi vivrebbero a Parigi come su un piroscafo di lusso. Non accadrà niente alle 16, e non se ne parlerà più...». «Comunque, commissario, per riuscire ad affiggere più di seicento manifesti nella rete della metropolitana,
non sono dilettanti: bisogna saperci fare». «Lefévre, al momento mi sto rompendo la testa sul caso del figlio di Mourmelon. È abbastanza complicato perché io possa preoccuparmi anche di tutti gli svitati in crisi da graffiti. Se pensa che sia interessante, se la sbrogli da solo, ma che non sia a discapito del vero lavoro. Non la trattengo».
Ammazza un bastardo!
Ammazza un bastardo!
traduzione di Alessandro Bresolin
«... questo romanzo, dal contenuto corrosivo e dallo stile vivace, riabilita il gesto surrealista puro...” - L’Humanité
Recensioni
• «… la campagna “Ammazza un bastardo!” non è un incitamento al delitto per il delitto ma piuttosto un omaggio ad ogni singolo che si pone con le armi che ha a disposizione contro i soprusi del potere, in questo senso ci fa pensare al ragazzo cinese, tuttora senza nome né destino, che un giorno di fine primavera del 1989 con i suoi sacchetti al braccio sbarrava la strada ad una colonna di carri armati in piazza Tiananmen» (Michele De Mieri, L’Unità)
• «… del noir c’è forse il linguaggio, duro e metafisico, direbbero i filologi del genere. Ma il segno è più profondamente letterario: il registro truce, se c’è, è accidentale, il racconto corre su un’idea sempre più ricca nel muoversi della storia, con ritmi e cadenze che vanno ben oltre gli schemi canonici del poliziesco. Romanzo bastardo, quindi, nel significato più intimo e stupendamente letterale della parola» (Paolo Colagrande, Tuttolibri–La Stampa)
• «… Ammazza un bastardo! coniuga una scrittura secca e precisa, che scandisce gli avvenimenti giorno per giorno, ora per ora, con un ritmo incalzante ed avvincente che toglie il respiro ed impedisce di staccarsi dalla lettura» (Mauro Trotta, il manifesto)
• «… gli autori danno vita a un ingranaggio letterario particolarmente efficace, in un crescendo di secchi capitoli che riportano i passaggi di un’azione estrema: dimostrare agli impuniti, siano essi politici, militari, padroni, promotori finanziari, speculatori edilizi, burocrati, che ci si può ribellare» (Leonardo Vilei,Liberazione)