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Dicembre, fermi tutti: arriva il Natale. Anche Spartaco Magazine si lascia contagiare dall’atmosfera natalizia…o forse no? Gli autori di questo mese spengono le luci sulle feste, le accendono su storie ai limiti. Ora è il turno di Piero Malagoli, il cui “Canto di Natale” prende le sembianze di un REQUIEM tra le stanze di un albergo a ore popolate di presenze.
Piero Malagoli, autore di “Nel rimorso che proveremo“
REQUIEM DI NATALE
Tutti i Natali la stessa storia. Nonostante Manuel sia l’impiegato più anziano dell’albergo deve sobbarcarsi il servizio notturno della vigilia. C’è chi non può mancare al cenone, chi rivede la fidanzata di ritorno dall’università, chi ancora parte armi e bagagli per raggiungere parenti lontani.
Lui non ha nessuno. Vive in un modesto pianterreno ereditato dai genitori a tre chilometri dall’hotel e ogni volta non riesce aopporre un rifiuto alle richieste di sacrificio da parte dei colleghi.
Il prossimo inverno saranno quaranta gli anni trascorsi in questa reception a fotocopiare documenti, consegnare chiavi e rilasciare ricevute a clienti sempre distratti, sempre di fretta.
L’ubicazione non è pittoresca. Fuori dal centro abitato, a pochi passi dal fiume, in una pianura che soffoca nell’afa estiva e affoga nella nebbia d’inverno, l’albergo si riempie di rappresentanti di commercio un paio di volte l’anno in occasione di fiere di settore, per il resto vivacchia con le coppie clandestine che affittano camere a ore. Dopo le venti un via vai che tocca il picco verso le due di notte mette sotto pressione i due impiegati che regolano questo traffico circospetto, che sfugge agli sguardi e richiede una buona dose di tatto.
Non che a Manuel dispiaccia. Timido come un topo, anche lui adora sfuggire gli sguardi fin da quando, appena ventenne, è stato assunto dal proprietario dell’epoca grazie a una raccomandazione di sua madre, morta da tempo nella convinzione che quell’impiego fosse solo il primo gradino dell’ascesa a occupazioni più prestigiose e appaganti.
In verità, quattro anni prima, ha trascorso lavorando la più bella notte Santa dai tempi della sua fanciullezza. Con la collega Camilla e l’albergo vuoto come tutti i Natali, hannochiacchierato dei libri che adorano leggere, dei film preferiti e dei tempi nei quali l’hotel era meno cadente di adesso.
Nella sala TV hanno guardato insieme una delle tante versioni di “A Christmast Carol”, il film tratto dal racconto di Charles Dickens. Dal fast food hanno ordinato pollo fritto e patatine e anche due belle fette di torta al cioccolato. Camilla ha la metà dei suoi anni, ma è una ragazza gentile e tranquilla come non se ne trovano più e lui ha rivissuto l’incanto di quando ogni anno guardava quel film con suo padre durante le feste.
Ora Camilla è una dipendente esperta che per opportunità preferisce i turni pomeridiani e a lui, per compagno di quella serata, è toccato Ramon, un salvadoregno che fatica con la lingua, batte la fiacca e fuma marjuana se non è controllato a vista.
«¿No quieres comer, mister?» chiama Mister chiunque e questo infastidisce Manuel «Mangiare… no mangiare, mister?» e gli mostra un tramezzino avvolto in carta da forno.
«No, niente mangiare io» si sente solo e stanco e vagamente miserabile in quella notte che dovrebbe essere di letizia. Non vede l’ora di finire quel turno infame, tornare a casa e passare la mattina di Natale cercando su qualche canale “Canto di Natale” da guardare crogiolandosi nell’autocommiserazione.
Ramon esce dalla porta sul retro con la sua cena e Manuel guarda l’orologio: appena le ventuno e trenta.
Scarabocchia annoiato un post-it e guarda la carta tingersi a intermittenza dei colori delle lampadine appese sulla guardiola.
A un tratto crede di sentire un rumore sommesso, direbbe lo scroscio della doccia di una delle prime stanze del corridoio. Controlla il registro. È lì dalle quattordici e non si è vista anima viva, infatti la pagina delle presenze è intonsa. Possibile che qualcuno abbia fatto accedere un cliente senza registrazione?
Inverosimile. A volte sorvolano sul documento di qualche frequentatore abituale, ma perché ne conoscono a memoria nome e cognome.
Prima di andare a verificare sbircia le telecamere interne che rimandano porte chiuse e anditi deserti, poi Ramon, seduto sui gradini, con la brace della sua canna che rosseggia nella mano destra. Farà in un attimo, inutile farlo rientrare e appestare l’ufficio di quell’odore dolciastro.
S’incammina per il corridoio mentre quel suono si fa più chiaro, si tratta proprio di una doccia in funzione. Arrivato dinanzi all’uscio della camera 23 ha la certezza che provenga da lì, ma quando sta per bussare lo scroscio cessa di colpo.
Silenzio, poi lo scorrere della porta a vetri della cabina doccia che si spalanca. Sono suoni che conosce come quello delle sue scorregge, tanto da immaginarsi ciò che sta succedendo lì dentro. Qualche disperato per burla o necessità si è introdotto dalla finestra e si gode una doccia bollente come regalo di Natale. Per uno scherzetto simile gli toccherà rassettare la stanza e ripulire il bagno prima di staccare. Gli sale un nervoso che lo spinge a rovinare la festa a quello screanzato.
Mette mano al passepartout e in silenzio fa scattare la serratura. Socchiuso l’uscio sbircia all’interno. Qualcuno dal bagno fischietta una filastrocca famigliare, la luce della camera è accesa. Si ritrae nel corridoio, prende un paio di respiri profondi e, trepidante, entra di slancio. Una donna avvolta nel telo da bagno gli gira le spalle. È ben fatta, un po’ sovrappeso, con i capelli raccolti e una voglia rossiccia sulla scapola che gli ricorda qualcosa.
Quando si gira i piedi nudi con le unghie laccate lasciano un’impronta sulla moquette color prugna.
«Ciao Ciccio!».
Manuel è basito dalla conferma di ciò che aveva già inconsciamente realizzato.
«Mamma!?».
«Stai lavorando ancora in questo lurido posto?».
«Io… io…».
«Uh, lascia perdere. Lo sapevo che sarebbe finita così. Fin da quando ti ho fatto assumere».
«Che ci fai qui?» è strano come il qui lo riferisca all’albergo, non all’anno 2024… non all’essere nel mondo dei vivi.
«La doccia, Ciccio» risponde semplicemente «Nella mia adorata stanza 23».
È anche la sua camera preferita, quella dove una volta al mese si concede un amplesso con una prostituta che frequenta l’albergo.
«No, intendevo…».
«Ti ho mai detto che tu sei stato concepito qui dentro?».
«Mamma!».
«Uh… non fare lo scontroso, Ciccio. Ho messo al mondo un ragazzino sano e intelligente che speravo si facesse strada nella vita. Dovrei essere io risentita per come è finita».
«Come concepito qui dentro?» Manuel deve elaborare l’informazione, è rimasto un passo indietro. La storia della sua vita.
«Qui dentro, ti dico. Oh, allora c’erano arredi di classe, mica questi mobili impiallacciati. Non eri previsto, ma è successo… con un uomo distinto con cui mi incontravo ogni mercoledì».
«Mamma! Ma facevi la put…».
Un manrovescio lo colpì alla guancia destra.
«Non ti permettere, sai. Sono sempre tua madre, anche se sono morta da trent’anni. Io quell’uomo lo amavo e lui amava me, o per lo meno… mi stimava» termina con la voce in calare.
«E papà, non ha mai…?» domanda con la guancia in fiamme. Per essere un fantasma picchia sorprendentemente duro.
«Sospettato nulla, dici? Uh, tuo padre! Ma te lo ricordi tuo padre? Rammenti cosa importava a quella nullità? Andare a pesca nel fiume qui vicino… passa ancora quella merda di fiume qua sotto? E giocare a carte con gli amici e bere e rientrare chiedendo sull’uscio: che c’è da cena stasera? Tuo padre. Buono quello!».
«Ma mamma… lui…».
«Si, si… lo so cosa ricordi di lui, Ciccio. Quello stupido film che guardavate insieme ogni Natale… quel Crist… Crisma…».
«Christmas Carol».
«Bravo Ciccio, quello. Beh, adesso concentrati e dimmi un’altra cosa bella, una soltanto che ti ricordi di lui».
Gli si avvicina a pochi centimetri, sfidandolo. La sua pelle èancora giovane e tesa sugli zigomi, ma sugli incisivi, un tempo bianchissimi, nota piccole tracce verdognole che fanno pensare al muschio.
«Ecco, lo vedi? Non ne ricordi altre, tolto quello stupidissimo film. Sai perché? Perché non esistono. Colui che ti ha fatto da padre era un coglione egoista e ignorante e questo è quanto».
Manuel non riesce a immagazzinare tutte quelle scomode verità, né a capacitarsi che sua madre parli con quel lessico che in vita non le apparteneva affatto. Muovendosi le si è allentato il telo da bagno e un seno s’intravede tra i lembi discosti.
«Dio Cristo, mamma! Copriti!» le ordina voltandosi.
«Uh, come la fai lunga! Ma dimmi di te, anche se non ho grandi speranze in merito, se sei ancora qui dentro dal 1983. Chissà che vita avventurosa! Quante cose da raccontare a tua madre!».
Manuel abbassa lo sguardo. Una volta è andato a Parigi a vedere una finale di Coppa, ma è passato tanto tempo e immagina non sia quello ciò che lei intenda.
«Una donna, ce l’hai almeno una donna?».
Manuel annuisce senza aggiungere altro. Arriva un nuovoceffone, sempre da destra. Non con la stessa veemenza, ma comunque bruciante.
«Non dire stronzate a tua madre, Ciccio. Ricordati che sono morta, posso vedere e sapere tutto quello che voglio. Non ti dico la noia… Qualche anno fa, giusto di questi tempi, si era accesa la fiammella della speranza, con quella Carolina… Carmela…».
«Camilla».
«Lei, bravo Ciccio! Tutta la notte ho fatto il tifo per te. Pensavo proprio che prima dell’alba l’avresti portata qui nella stanza 23. Pensa che avevo fatto il diavolo a quattro per farti trovare una tavola imbandita, la vasca da bagno pronta e le candele accese. Pensa che stupida».
Manuel abbozza, mentre realizza che saprà quindi anche dei suoi incontri a pagamento, in quella stessa camera.
«Così non va bene, Ciccio. Sei sempre stato troppo accomodante, ma dai retta alla mamma che ti vuole bene…» adesso la riconosce. Quel tono dolce, gli occhi comprensivi… Tenta di carezzargli la fronte, come faceva un tempo, ma ci passa attraverso come fosse fatta di fumo. ‘Le sberle sì, le carezze no?’ gli sovviene, nostalgico.
«Sei disperato, Ciccio. Non te ne rendi conto perché ci hai fatto l’abitudine, ma dall’altra parte si vede benissimo. Questa Camilla credo che sia l’ultima spiaggia che ti rimane».
«L’anno prossimo» accenna Manuel «Il Natale futuro farò in modo di restare di nuovo in turno con lei e vedrai che…».
«Uh, uh…» lo interrompe scuotendo il capo «Non ci siamo. Devi darti una mossa e fare più in fretta».
«Non so nemmeno se abbia un fidanzato… In questi mesi parlerò con lei e vedrai che il Natale prossimo…».
«Senti Ciccio, ora vattene che devo rivestirmi» Manuel getta uno sguardo e sul letto c’è l’abito col quale è scesa nella tomba. Un completo blu affatto consono all’immagine giovanile che gli sta di fronte.
«Prendi queste e fanne buon uso» gli mette in mano le chiavi della stanza 28, l’unica singola della struttura, comprensibilmente bistrattata in un albergo a ore «Consideralo il regalo di Natale. Ora devo scappare, se di là si accorgono che sono venuta a trovarti succede un casino».
Stavolta Manuel sente il contatto con le sue dita fredde. Guarda le chiavi un momento e quando rialza lo sguardo lei non c’è più.
Esce dalla 23 e col cuore in gola percorre fino in fondo il corridoio fino alla 28. La chiave gira nella toppa ma la porta è sbarrata dall’interno. Spinge e scrolla la maniglia finché la sedia che blocca il battente si ribalta all’indietro. Entra di gran carriera. La stanza è vuota a eccezione di una mezza bottiglia di cognac sul comodino. Si guarda intorno smarrito e nota la lama di luce provenire dall’uscio socchiuso del bagno.
Quando spalanca la porta l’immagine che gli si presenta è cruda come solo può renderla la luce fredda del neon.
Quello impiccato al montante del box doccia è lui, vestito con la stessa giacca di servizio che indossa in quel momento. Nonostante il viso gonfio e il colorito bluastro è talmente riconoscibile che pare non sia passata nemmeno una settimana da quella maledetta notte.
Manuel capisce al volo e controlla la data nella radiosveglia sul cassettone: 21 marzo 2025, nemmeno tre mesi da quel momento.
Sottraendosi a quell’apparizione, si gira e corre fuori, inseguito da una musichetta che confonde il ritmo della filastrocca di poco prima e la colonna sonora di “Christmas Carol” che risuonacome un requiem.
Qualcuno alle spalle lo sta chiamando e sa che fermandosisarebbe la fine, quindi continua a correre in quel corridoio lunghissimo, alla fine del quale vede un minimo spiraglio di luce farsi sempre più piccolo. Quella musica lugubre lo incalza come la voce che chiama il suo nome e d’improvviso una mano gli avvinghia la spalla.
Ecco… è la fine.
«Manuel… Buon Natale mister».
Manuel sobbalza e per un attimo è spaesato. Poi la mano di Ramon che lo scuote e la voce impastata dal fumo che cantilena: «È mezzanotte, mister, tanti auguri».
Fuori una stucchevole musica natalizia proviene dagli altoparlanti del centro commerciale e rintocchi lontani dalle campane della chiesa del paese.
Rizzando il busto dalla scrivania su cui si è appisolato scopre di essersi addormentato con la guancia destra premuta su qualcosa di duro e puntuto mentre il vetro della reception rimanda la sua faccia attonita con impresso il rosso profilo della cucitrice.
«Uh…» borbotta tra il puzzo di marjuana.
Il primo impulso è di prendere il cellulare e chiamare Camilla. Arriva fino al momento in cui dovrebbe solo premere il pulsante di invio chiamata, ma poi la immagina presa da baci augurali e abbracci, quindi desiste. D’altronde, che avrebbe da dirle oltre a un laconico buon Natale?
«Tanti auguri di buon Natale, mister» insiste il collega.
Manuel tossisce nel fumo denso della guardiola. Dovrebbe riprenderlo e ricordargli di non fumare lì dentro e che facendolo rischia il posto. Ma ancora scosso e frastornato dalle rivelazioni di quella nottata riesce solo a mormorare:
«Grazie. Buon Natale anche a te, Ramon».
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