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24 Settembre 2015

L’inedito. “Il mio nome è Gennaro” di Marco Ehlardo

Marco Ehlardo foto sito-150x150In memoria di Mohamed, bracciante sudanese morto di infarto in Puglia mentre raccoglieva pomodori.
E di Paola Clemente, anche lei bracciante e anche lei morta per lo stesso motivo ad Andria raccogliendo pomodori per due euro all’ora.

Il mio nome è Gennaro
di Marco Ehlardo

Il mio nome è Gennaro, e di mestiere faccio il caporale.
La mattina giro con il mio furgone per le rotonde del Napoletano e del Casertano. Scelgo un po’ di neri, li carico e li porto a lavorare nei campi.
Un buon lavoro, redditizio e sicuro; perché alcuni di loro non hanno i documenti e non possono denunciarmi, e in caso contrario non li starebbe a sentire nessuno.
Alla fine credo anche di fare del bene a tutti.
Ai neri perché stanno con le pezze al culo e non hanno manco i soldi per mangiare.
E all’economia locale, altrimenti le aziende dovrebbero pagare tasse e contributi e chiuderebbero tutte. Oppure pagheremmo tutti noi i pomodori almeno il doppio di quanto li paghiamo ora.

Non c’è niente che mi diverte di più che vedere alla TV quelli che dicono che non dobbiamo far arrivare i neri.
Chi li raccoglierebbe i pomodori poi? E per quei quattro soldi al giorno che gli diamo?
Una volta ci fu una specie di sciopero dei neri. Provai a chiedere allora ad alcuni ragazzi napoletani delle mie parti se volevano venire a raccogliere i pomodori. Mi mandarono tutti affanculo.

Poi molti di quelli che vedo in TV a protestare contro i neri li conosco bene. Sono quelli a cui la mattina dopo porto i neri nelle loro terre e nelle loro aziende. So’ furbi sti figli ’e ntrocchia!
Oppure sono politici amici loro. Alcuni – lo so perché queste cose da noi si sanno – hanno pure la domestica e la badante, clandestina e a nero. La pagano quattro soldi e se prova ad alzare la testa la buttano per strada, tanto ne trovano decine di altre.

Sti neri alla fine sono dei bravi guaglioni, dei grandi faticatori. Ogni tanto qualcuno prova a romperci i coglioni, ma sappiamo come metterlo a posto.
Sono anche molto resistenti, molto più di noi di sicuro. Li facciamo lavorare anche quattordici ore, sotto al sole e a mani nude. Un po’ di acqua e un panino a pranzo e ricominciano fino a sera.

L’altro giorno, però, uno di loro è crepato.
Stava in un campo e facevano più di quaranta gradi.
Quello stronzo si è accasciato all’improvviso. Siamo andati lì a insultarlo e riempirlo di calci perché si alzasse e tornasse a lavorare.
Ma non rispondeva.
I suoi compagni allora hanno cominciato a urlare. Non capivo un cazzo di cosa dicevano quegli analfabeti!
Ho chiamato un po’ di amici, e per prima cosa li abbiamo cacciati. Abbiamo anche risparmiato una giornata di pagamenti, meglio così.
Poi abbiamo chiamato un medico amico di amici. Ci ha detto che era stato un infarto. Niente da fare.
E mo’ dove lo buttiamo questo?

Foto di Carlo Hermann

La cosa che mi rompe più il cazzo saranno i prossimi giorni. Quando lo troveranno.
I giornali parleranno di noi, di quelli come me. Diranno che siamo dei criminali. Lo sapevano anche il giorno prima. Lo dimenticheranno di nuovo due giorni dopo.
La polizia verrà a rompere il cazzo per un po’. Per fortuna comunque se ne vanno presto.
Qualche comunista di merda farà una manifestazione per i neri. Qualche amico nostro ne farà una contro i neri. Dei primi non me ne frega niente. Ai secondi vorrei dire: eccheccazzo, restate a casa e non rompete le palle, che noi dobbiamo tornare a lavorare, sennò chi li raccoglie i vostri pomodori?
Almeno ci mancheranno le scenate dei familiari. Questi la famiglia qui non ce l’hanno, e se ce l’hanno allora i parenti hanno gli stessi problemi ed è meglio che non si fanno vedere.

Quando succedono queste cose, a volte penso che vorrei avere un lavoro migliore.
Spacciare droga, prendermi un gruppo di puttane da controllare, o lavorare con gli appalti dello Stato. Ma per questi ultimi ci vogliono gli agganci giusti, più in alto, molto più in alto, ed io non ce li ho.
Allora torno alla mia vita, tanto come al solito tutto questo passerà presto.

Il mio nome è Gennaro, e di mestiere faccio il caporale.
Sono quello grazie al quale comprate le buatte ’e pummarole a quaranta centesimi.

Marco Ehlardo (Napoli, 4 febbraio 1969) ha lavorato per oltre dieci anni a Napoli in servizi per migranti, coordinando un programma di accoglienza per rifugiati e richiedenti asilo. Dal 2011 ricopre il ruolo di Referente per la Campania di ActionAid Italia. Per la Edizioni Spartaco ha scritto il libro “Terzo settore in fondo: cronistoria semiseria di un operatore sociale precario”. Collabora con il magazine Vita.it