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24 Aprile 2017

Il ricordo…

Ricordo tutto così bene come se fosse accaduto oggi.

L’uomo è piccolo, e niente di quello che si porta addosso basterebbe a farlo imprimere nella mente di qualcuno. Se non fosse per i capelli ramati e per il volto interamente coperto da lentiggini. Ma chi va a notare, tra i tanti  volti che si incrociano nella vita, fino a farsi catturare così tanto da conservarne poi memoria per anni, quello di un uomo di mezza età che fermo in mezzo a un gruppo di persone parla animatamente e sottovoce di chissà cosa. Nessuno. Neppure per quei capelli. E neppure per gli occhi. Azzurri. Ma ancora di più. Guido direbbe: azzurri d’un azzurro di stoviglia.

Alla fine l’uomo rischia di essere anche insignificante. Poco attento ai vestiti che porta addosso e con un tascapane logoro che gli pende da una spalla. Però, da quello che si percepisce stando un po’ in disparte, tiene quel gruppo di persone (venti? trenta?) inchiodato alle sue parole.

Ricordo tutto così bene come se fosse accaduto oggi, dice. Ero tra i più fidati collaboratori del luogotenente del Regno d’Italia, il principe Umberto II di Savoia, e toccò a me – ebbi io quest’onore – di mettere in grafia chiara che  a celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1945 è dichiarato festa nazionale. Davvero un onore. Ricordo molto bene la data. Era il 22 aprile del 1946 ma, per un meccanismo della memoria che in quel momento, me ne rendo conto, si rivelava inopportuno, la mia mente ritornò a più di cento anni prima e alla perizia con la quale Napoleone (che non si era ancora presentato ai suoi soldati) mi ordinava di spruzzargli la sua acqua di Colonia preferita. E intanto chiedeva: “Quanti sono i prigionieri presi ieri?”. Ricordo bene. E il giorno dopo, che era il 26 di agosto del 1812 infuriò la battaglia di Borodino. Quasi cinquant’anni dopo raccontai tutto per filo e per segno al mio nuovo amico, il russo Lev Tolstoj uomo energico e infaticabile. Ricordo anche che gli dissi che cominciavo a temere per la mia immortalità. La sentivo più debole di decennio in decennio, di evento in evento, e allora temevo di non poter più raccontare, nei secoli futuri, tutti i miei secoli di vita passata. Di quando ero console di una delle legioni dell’esercito romano, o umile fraticello, secoli e secoli dopo, dell’esercito francescano… Quel Lev, che possano benedire nei secoli dei secoli il suo genio, ha narrato in un capolavoro eccelso quanto in notti e notti io ho raccontato a lui di Napoleone, e di Natasha, e di Pierre Besucov e di tutti i Rostov e i Bolkonski. Una fatica immane la sua, starmi ad ascoltare. Lo sapevo bene quanto costava in sfinimento fisico, io che avevo ascoltato con infinita passione tutti i racconti di Sherazad…

E ora, racconto a voi di quel 25 aprile del 1945. Ma temo forte che sarà l’ultimo mio ricordo. E tremo all’idea che quando la legge di natura che fin qui non mi ha mai appartenuto si deciderà finalmente a fare il suo lavoro anche con me questo mio ultimo ricordo svanirà del tutto.

Per questo, ora, vi dirò tutto nei più piccoli particolari. E che qualcuno di voi si prenda l’impegno di scrivere quello che io adesso narro. Me ne andrò sollevato sapendo che il ricordo è diventato, di nuovo, racconto.

Ricordo tutto così bene come se fosse accaduto oggi. L’uomo è piccolo, e niente di quello che si porta addosso basterebbe a farlo imprimere nella mente di qualcuno. Ma racconta come un dio.

In verità, in verità vi dico…